Sciopero e Gaza: quando lo strumento rischia di offuscare la causa

✈️ Treni fermi, cittadini bloccati.
🚢 Navi umanitarie, obiettivo mancato.
Uno sciopero che colpisce chi non c’entra e non avvicina Gaza alla pace.

Il diritto di sciopero è tra i pilastri della democrazia italiana. È sancito dalla Costituzione e custodito come una delle armi più potenti nelle mani dei lavoratori. Un diritto che nessuno può mettere in discussione. Ma, come tutti i diritti, anche questo trova la sua forza e la sua legittimità nella misura, nel contesto, nella coerenza tra obiettivi e strumenti.

La giornata del 3 ottobre 2025 rischia di passare alla storia non tanto per il merito delle rivendicazioni, quanto per l’ambiguità del metodo.
La protesta è stata legata alla vicenda della flottiglia umanitaria diretta verso Gaza, fermata dalla marina militare israeliana a 80 miglia nautiche dalla costa. Una causa che tocca la coscienza internazionale, che suscita indignazione e richiama l’urgenza di difendere la popolazione civile palestinese sotto assedio. Un tema, insomma, che riguarda la giustizia globale.

Eppure lo strumento scelto in Italia è stato lo sciopero generale dei servizi pubblici essenziali. Treni fermi, scuole chiuse, ospedali rallentati. Milioni di cittadini italiani coinvolti, con danni e disagi concreti, senza alcun legame diretto con la vicenda di Gaza. Qui nasce la contraddizione: lo sciopero è nato come arma di pressione per migliorare condizioni di lavoro, salari, diritti sociali. Oggi viene piegato a un fine di politica internazionale che, per quanto nobile, appare distante dalla funzione originaria dello strumento.

A complicare il quadro, la decisione della Commissione di garanzia sugli scioperi: ieri ha dichiarato l’illegittimità della protesta per mancato rispetto del preavviso di 10 giorni previsto dalla legge. Eppure, CGIL e UIL hanno confermato lo sciopero, presentando un ricorso d’urgenza che sarà discusso solo nei prossimi giorni, quando la protesta sarà già stata fatta e finita. Di fatto, un vuoto normativo che lascia disorientati cittadini e lavoratori: se le regole non hanno efficacia immediata, a cosa servono le Autorità garanti?

Il punto non è negare la battaglia.
Il punto è che una giusta causa rischia di perdere credibilità quando lo strumento appare sproporzionato o mal calibrato rispetto al bersaglio.
Difendere Gaza è sacrosanto, ma bloccare i treni in Abruzzo o chiudere scuole a Milano non sposta di un millimetro le decisioni del governo israeliano. Rischia, piuttosto, di allontanare la simpatia dell’opinione pubblica, trasformando una protesta potenzialmente unificante in una lacerazione interna.

Se la missione è la pace, anche le forme della protesta dovrebbero parlare di pace: coerenti, inclusive, capaci di colpire chi ha il potere di decidere, non chi subisce senza voce.