Capitolo XV – Piazza San Sepolcro: la nascita dei Fasci (1919)

23 marzo 1919, Milano: in una sala di Piazza San Sepolcro nasce il movimento dei Fasci Italiani di Combattimento.
Dai reduci e dai futuristi, un nucleo piccolo ma rumoroso, destinato a incendiare la politica italiana.
✒️ Il Sognatore Lento

La guerra era finita da pochi mesi e l’Italia sembrava un campo disseminato di macerie invisibili. Non erano solo i villaggi distrutti lungo il Piave o le case abbandonate nelle zone di battaglia: erano soprattutto le coscienze.

Il 1919 apriva un biennio convulso. Disoccupazione, inflazione, scioperi, contadini che occupavano terre, operai che prendevano le fabbriche. I reduci tornavano a casa e non trovavano più posto né nella società né nel lavoro. Nelle piazze si gridava alla “vittoria mutilata”, denunciando i mancati compensi territoriali promessi dal Patto di Londra.

Era un’Italia inquieta, fragile, pronta a cercare nuove voci.


Mussolini dopo la guerra

Mussolini, uscito dal conflitto con la ferita che lo aveva marchiato come ex combattente, osservava questo caos con attenzione. Il suo Popolo d’Italia cresceva di tiratura e di influenza: era diventato un punto di riferimento per i reduci e per chi non si riconosceva più né nel socialismo tradizionale né nel liberalismo logoro.

Scriveva:
“La guerra non può essere un capitolo chiuso. Essa è stata la più grande delle rivoluzioni. Ora bisogna portarne lo spirito nella vita politica.”


L’idea di un movimento nuovo

Nei primi mesi del 1919, Mussolini cominciò a riunire attorno a sé un gruppo eterogeneo di reduci, futuristi, sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti delusi. Non c’era ancora un programma preciso, ma un’idea: trasformare l’energia caotica del dopoguerra in forza politica.

Filippo Tommaso Marinetti, poeta futurista, fu tra i primi ad aderire. Ex socialisti espulsi dal PSI, come Alceste De Ambris, portarono il loro contributo. C’erano arditi, studenti, giornalisti. Una compagnia variegata, rumorosa, radicale.


Il 23 marzo 1919

La data scelta fu il 23 marzo 1919. Il luogo, un modesto locale in Piazza San Sepolcro a Milano, sede dell’Associazione Combattenti.

Quel giorno arrivarono in circa 200: ex ufficiali, giovani reduci, qualche intellettuale, molti curiosi. Mussolini prese la parola con la sua voce tonante. Non c’era solennità, ma un senso di novità.

Dichiarò:
“Noi siamo il partito della guerra continua, della rivoluzione che non si ferma. Siamo i figli del fronte che non vogliono tornare alla vita di ieri.”

I presenti cominciarono a definirsi “sansepolcristi”, dal nome della piazza che li aveva visti nascere.


Il programma dei Fasci

Il documento presentato quel giorno sorprende ancora oggi. Non era un programma reazionario: era radicale, persino rivoluzionario, un ibrido che mescolava nazionalismo e socialismo.

Tra i punti principali:

  • Repubblica al posto della monarchia.
  • Suffragio universale per uomini e donne.
  • Giornata lavorativa di otto ore.
  • Confisca dei profitti di guerra e imposta straordinaria sui capitali.
  • Nazionalizzazione delle grandi industrie e dei trasporti.
  • Gestione operaia delle fabbriche.

Mussolini parlava di giustizia sociale, ma in un linguaggio diverso da quello socialista: meno dottrinario, più pragmatico, condito da nazionalismo e spirito combattente.

Scrisse sul Popolo d’Italia:
“Noi siamo rivoluzionari perché vogliamo abbattere non solo un ordine politico, ma una mentalità. Non più sudditi, non più servi: cittadini e combattenti.”


La folla e la piazza

Fuori dal locale, in Piazza San Sepolcro, alcuni manifestanti gridavano slogan. Non era ancora una folla oceanica, ma un nucleo compatto e rumoroso.

Un cronista annotò: “Sembravano pochi, ma determinati. Vestiti male, ridotti, ma con lo sguardo di chi aveva visto la morte e non temeva più nulla.”

Quel giorno nacque ufficialmente il movimento dei Fasci Italiani di Combattimento.


Prime azioni e primi limiti

Nei mesi seguenti, i Fasci faticarono a imporsi. Alle elezioni politiche del novembre 1919 ottennero un risultato misero: meno di 5.000 voti a Milano, nessun seggio in Parlamento. Lo stesso Mussolini non fu eletto. La stampa li derise: “Un fuoco fatuo destinato a spegnersi.”

Ma Mussolini non si scoraggiò. Disse ai suoi:
“Meglio pochi e duri che molti e incerti. Questa è solo la prima battaglia.”


Il clima del biennio rosso

Intanto il paese era in fermento. Scioperi, occupazioni di fabbriche, bandiere rosse che sventolavano sulle officine del Nord. La paura di una rivoluzione bolscevica cresceva tra gli industriali e tra i proprietari terrieri.

Mussolini capì che lì c’era lo spazio per i Fasci: presentarsi come la forza che poteva contrastare il socialismo senza tornare al vecchio liberalismo.


Conclusione del capitolo

Il 23 marzo 1919 non cambiò immediatamente la storia d’Italia. Ma fu la prima tappa di un percorso nuovo.
Quel giorno, in un locale modesto di Milano, un ex socialista, ex direttore dell’Avanti!, ex soldato ferito, fondava un movimento destinato a mutare il volto del Paese.
I Fasci Italiani di Combattimento erano ancora pochi, ma avevano un leader che conosceva la forza delle parole e delle piazze.
Mussolini, il ragazzo ribelle di Dovia, il prigioniero di Berna, il maestro inquieto, il soldato ferito, ora si presentava come il capo di un’Italia che non voleva più essere debole.
E anche se il loro esordio elettorale fu un fallimento, la scintilla era stata accesa. Piccola, incerta, quasi invisibile. Ma sarebbe presto diventata incendio.

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