
In Calabria non è arrivata una semplice sconfitta, ma un cappotto. Dopo le Marche, un’altra regione cade senza resistenza nelle mani della destra. Non parliamo di qualche punto di distacco che si può mascherare con scuse o analisi complesse: qui il divario è netto, imbarazzante, senza appello.
La vignetta che circola da anni – “Piazze piene, urne vuote” – torna attuale come non mai. Perché il copione si ripete: grandi cortei, slogan roboanti, discussioni infinite su Gaza e altri temi internazionali; ma quando si aprono le urne, i numeri raccontano un’altra storia. E la storia dice che la destra avanza senza ostacoli.
Il paradosso è che più la sinistra si concentra sul palcoscenico simbolico, più perde contatto con i territori reali. Calabria non è una bandiera da sventolare, è una terra che soffre spopolamento, servizi carenti, lavoro precario. Eppure, queste parole sembrano scomparse dai comizi progressisti.
Così la destra non deve fare sforzi titanici: basta presentarsi e raccogliere i frutti di un vuoto lasciato dagli altri. La sinistra, invece, continua a illudersi che le piazze possano sostituire le urne, che i cori possano coprire i numeri.
Ma i numeri sono lì, implacabili. E ricordano a tutti una verità elementare:
la politica non si misura a decibel, ma a voti. E in Calabria, di voti, la sinistra non ne ha trovati.