Piazze piene, urne vuote: la sinistra sciopera mentre in Calabria si vota

No pasarán!” significa “Non passeranno!”.
È uno slogan storico nato durante la Guerra Civile Spagnola (1936), quando la leader comunista Dolores Ibárruri, detta La Pasionaria, lo pronunciò per incitare i cittadini di Madrid a resistere all’assedio delle truppe franchiste.
Da allora è diventato un grido simbolico della resistenza antifascista in tutto il mondo, ripreso in manifestazioni, cortei e movimenti politici come richiamo alla lotta contro ogni forma di oppressione.

C’è un vecchio adagio che dice: “Mentre il medico studia, il paziente muore.”
Nel 2025, in Italia, potremmo aggiornarlo così: “Mentre la sinistra sciopera, gli elettori votano… altrove.”


Scena prima – Il teatro dello sciopero

La piazza è la ribalta preferita della sinistra. Bandiere rosse come scenografie, striscioni come fondali, coriandoli di parole d’ordine lanciati in aria.
Un carnevale politico che dura un giorno e lascia a terra più volantini che voti.
Perché la piazza serve a farsi notare. L’urna, invece, serve a farsi contare. E lì la matematica è sempre impietosa.


Scena seconda – Calabria

Mentre i sindacati scaldano i megafoni, i calabresi entrano in cabina. Non trovano cori né slogan, ma simboli e facce riconoscibili: il politico visto al bar, il candidato che promette di rattoppare la statale, l’amico di famiglia che assicura un posto in cooperativa.
Promesse fragili, certo. Ma almeno hanno il sapore del concreto.
La sinistra, invece, sembra convinta che basti gridare “No pasaran!” per conquistare voti, come se l’elettore medio calabrese dormisse con il poster del Che Guevara sopra il comodino.


Scena terza – Marche

Lo spettacolo lo abbiamo già visto. Nelle Marche, piazze incandescenti, titoli a caratteri cubitali, editoriali pieni di pathos.
Poi, alle urne, la batosta: applausi in piazza, fischi nei seggi.
La sinistra si accorse che “la folla con noi sotto il palco” non coincideva con “la folla con noi nell’urna”.
Un’illusione ottica che in Italia conosciamo bene: perfino le sagre di paese, tra panini e tarantelle, riescono a trasformare l’entusiasmo in consenso reale molto meglio di certi cortei ideologici.


Scena quarta – La satira della realtà

Il paradosso è ormai grottesco: da un lato le bandiere rosse che sventolano orgogliose, dall’altro le schede elettorali che scelgono chiunque tranne loro.
La sinistra continua a scambiare il palco con la cabina, il decibel con il voto, lo slogan con la preferenza.
Ma la politica, purtroppo per i cori, non si misura in watt sonori. Si misura in croci a matita.


Epilogo – E domani?

Accadrà di nuovo. In Calabria come nelle Marche: proclami roboanti, analisi post-voto intrise di alibi (“non abbiamo saputo comunicare”, “gli elettori non hanno capito”), e poi nuovi cortei, nuovi striscioni, nuovi scioperi.
Una ruota che gira sempre uguale.

Intanto, il popolo reale voterà chiunque dia almeno l’impressione di sistemare una strada, riaprire un ospedale o creare un lavoro. Magari sbagliando, certo. Ma almeno provandoci.


Chiusura:
La formula è collaudata: piazze piene, urne vuote, analisi infinite.
Un equilibrio instabile che fa rumore… finché non arriva il silenzio dello spoglio.