Il cancro del merito – Quando la raccomandazione diventa sistema

Perché in Italia puoi essere bravo, ma non basta


Negli ultimi mesi ho letto e sentito di decine di colloqui.
Storie vere, raccontate da chi ci ha provato davvero.
C’è chi è arrivato preparato, con un curriculum curato; chi ha studiato, chi si è rimesso in gioco dopo anni.
E poi c’è chi, nonostante tutto, è tornato a casa con la solita frase: «Le faremo sapere.»

Ho sentito di selezioni interminabili, di prove non retribuite, di offerte al limite del rispetto.
E anche di candidati scartati non per incompetenza, ma perché non avevano la persona giusta dietro.

In Italia puoi essere motivato, capace, onesto — ma spesso non basta.
Perché troppo spesso, più che il merito, conta l’appoggio.
E allora molti rinunciano, o partono.
Non per mancanza di coraggio, ma per stanchezza di essere invisibili.

È un cancro che l’Italia ha nel suo DNA, e non si sconfiggerà mai del tutto.
Perché qui non si premia chi vale, ma chi serve.
Non si cerca il talento, ma la fedeltà.
E così i migliori scappano, i mediocri restano e si moltiplicano, e il sistema si autoalimenta come un organismo che si nutre delle sue stesse contraddizioni.

Ogni generazione ci riprova, convinta che qualcosa stia cambiando.
Ma alla fine, tra concorsi “trasparenti” e colloqui “meritocratici”, le ombre restano sempre le stesse.
E chi ha davvero qualcosa da dare, spesso deve scegliere tra la dignità e il compromesso.

Non è pessimismo: è una radiografia onesta di un Paese che sa essere geniale, ma che continua a farsi male da solo.
Finché non capiremo che la raccomandazione non è una scorciatoia, ma una malattia culturale, continueremo a chiamarla “opportunità”.

Riflessione personale:
Ogni volta che sento queste storie, mi chiedo se davvero il problema sia solo “chi raccomanda” o anche “chi accetta di farsi raccomandare”.
Perché il sistema non sopravvive da solo: ha bisogno della complicità di chi lo alimenta, del silenzio di chi si volta dall’altra parte, e della rassegnazione di chi si convince che non ci sia alternativa.

Forse la vera rivoluzione non è fuggire, ma restare diversi.
Continuare a portare il curriculum, anche quando fa sorridere gli altri.


Firma:
Il Sognatore Lento


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