Capitolo 7 – L’inganno della calma

➤ Dopo la tempesta che non gridava, arrivò la calma.
Non una calma normale, ma un silenzio steso come vetro sull’acqua. Nessuna onda, nessun gabbiano, nessun segno che il mare avesse memoria di ciò che era accaduto.

Il ragazzo, ancora con il flauto tra le mani, lo sollevò a metà: «Posso suonare?»
Il Viaggiatore scosse il capo. «In questa calma, ogni suono diventa trappola. Prima ascoltiamo.»

Il mare piatto

Lo scafo procedeva piano, quasi senza resistenza. Era un sollievo e insieme una minaccia: chi non sente opposizione crede di avanzare, e invece resta fermo.
Il vecchio pescatore fissò l’acqua immobile: «Diffidate del mare piatto. È come un uomo che non risponde: non sai se dorme o se trama.»

L’illusione del riposo

L’equipaggio si lasciò tentare: qualcuno si sdraiò sul ponte, qualcuno chiuse gli occhi, qualcuno si convinse che fosse giusto approfittare di quella tregua.
La donna con il sacchetto di terra, invece, rimase in piedi. «Non è riposo, è sospensione. Guardate bene: il sole non si muove, l’ombra non cresce. È come se il tempo stesso ci stesse ingannando.»

Il ragazzo rise: «E allora che male c’è? Se il tempo si ferma, non invecchiamo.»
«O non viviamo» rispose il Viaggiatore.

Le sirene della quiete

Fu allora che arrivò un nuovo canto. Non urlava, non prometteva: cullava.
“Riposatevi, dimenticate, lasciatevi portare. Qui non c’è fatica, qui non c’è dolore, qui non c’è meta.”
Il suono era dolce, più pericoloso della fretta e del dubbio. Perché non chiedeva di correre, ma di fermarsi.

Il carpentiere sospirò: «Potrei restare qui tutta la vita. Nessuno mi chiede di segare, di piantare chiodi. È una pace che non avevo mai visto.»
Il vecchio lo scosse: «È la pace dei morti. Non lasciarti sedurre.»

La prova del respiro

Il Viaggiatore comprese che bisognava rompere l’incantesimo.
«Contate i respiri» disse. «Uno alla volta, fino a dieci. Poi ditemi se siete davvero vivi.»
Lo fecero. E al decimo respiro si accorsero che il cuore batteva più piano, come se la calma avesse davvero rallentato la loro vita.

Il ragazzo strinse il flauto e disse: «Se resto zitto, mi spengo anch’io. Devo suonare.»
Il Viaggiatore annuì. «Suona, ma suona lento. Non per svegliare, ma per ricordarci che respiriamo.»

Tre note, lunghe e basse, riempirono la calma. Non la ruppero, ma la incrinarono: una riga invisibile sull’acqua liscia.

Il ritorno del movimento

Dopo le tre note, una bava di vento si alzò, piccola come un sospiro. La vela si gonfiò appena, e la barca riprese a camminare.
Il vecchio rise di sollievo: «Il mare ci stava chiedendo di dimostrare che non siamo pietra. Che sappiamo ancora muovere aria con un respiro.»

Il quaderno del Viaggiatore

Quella sera il Viaggiatore scrisse:
Il mare oggi ci ha dato la calma perfetta, ma non come dono. Come trappola. Abbiamo imparato che la vera vita non è né nella tempesta né nella quiete assoluta: è nel passo che continua, nel respiro che non si spegne.

E, come ogni notte, aggiunse un filo d’olio alla lanterna. «Perché anche la calma più ingannevole non trovi mai la barca spenta.»