Stellantis investirà 13 miliardi nei prossimi anni.
Negli Stati Uniti.
Applausi, luci, conferenze stampa.
Negli stabilimenti americani si parla di innovazione, lavoro, elettrico, futuro.
Da noi invece si parla di “razionalizzazione”, “adeguamento dei turni” e “periodi di fermo produttivo”.
Tradotto: meno gente dentro, più silenzio fuori.
Ma forse il problema è geografico.
Forse Atessa non è più in Abruzzo, ma in qualche provincia del Nebraska.
Forse la Val di Sangro si è spostata a Detroit e noi non ce ne siamo accorti.
Ogni volta che un colosso annuncia miliardi oltre oceano, qui arrivano solo le briciole dei comunicati stampa.
Gli operai aspettano un piano industriale, ma ricevono “strategie globali”.
I sindaci chiedono garanzie, ma ottengono “attenzione al territorio”.
E l’Italia applaude, come se ci riguardasse.
Certo, Stellantis è nata da una fusione, metà francese e metà americana.
Ma a guardare dove vanno i soldi, verrebbe da pensare che il DNA si sia chiarito:
il cuore batte a Wall Street, e i polmoni respirano in Texas.
Intanto la fabbrica di Atessa — quella che produceva furgoni per mezza Europa — rallenta.
Si parla di elettrico, ma senza prese.
Di futuro, ma senza mappe.
E allora la domanda nasce spontanea:
se Stellantis è americana, chi si occuperà dell’Italia?
O dobbiamo aspettare che la Val di Sangro diventi uno “Stato federato” per avere attenzione?
Nel frattempo, gli abruzzesi continuano a lavorare, sperare e inventarsi il domani.
Perché qui la fabbrica non è solo un capannone,
è una comunità che ha imparato a costruire,
anche quando chi comanda preferisce investire altrove.
🔧 Conclusione
Forse un giorno Stellantis tornerà a ricordarsi che anche l’Italia fa parte del pianeta.
Nel frattempo, in Val di Sangro continueremo a stringere bulloni e denti,
a far girare motori e coscienze,
perché il futuro — quello vero — non si misura in miliardi,
ma in chi resta, lavora e non smette di crederci.
🎭 Pensieri Scomposti – Il Sognatore Lento
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