Il mio viaggio verso l’Australia, 1961

Mariangela Rossi (d’unghiò) – Australia

Il mio viaggio verso l’Australia, 1961

Nel 1961 partii da Montenerodomo con i miei figli Riccardo (10 anni ) e Adele (8 anni) per raggiungere mio marito Alfonso in Australia dove era già emigrato. Da un paio d’anni Ci imbarcammo a Napoli sulla nave ‘Sydney’ della flotta Lauro, una nave che, con la sua gemella “Roma”, assicurava ogni mese il collegamento con il porto di Sydney. Durante il viaggio facemmo scalo a Port Said (Egitto), Aden (Yemen), Bombay (India), Colombo, (Ceylon), quindi Fremantle e Melbourne (Australia).Alfonso nei due anni di permanenza in Australia, con il suo duro lavoro, era riuscito ad acquistare una casa a Sydney con un mutuo bancario e, quindi, poteva fare l’atto di chiamata per me i nostri figli. Così la famiglia poteva finalmente riunirsi.
La nostra nave lasciò il porto di Napoli il 29 agosto 1961. Da Montenero a Napoli il nostro viaggio fu organizzato dalla stessa agenzia che ci aveva fatto il biglietto per l’Australia. Viaggiammo con un pulmino insieme ad altri emigranti di Pizzoferrato. Il gruppo comprendeva Quinta D’Antonio e i suoi figli : Antonietta, Benito e Domenico, Filomena Rossi e suo figlio Antonio.
Sulla nave, nove essi condivisero con noi una cabina con 8 cuccette. Con noi c’erano Quinta, Antonietta, Benito e Domenico, Filomena e Antonio. Lungo il viaggio si poteva vedere il mare dagli oblò. Per tutto il viaggio io ed Adele soffrimmo di mal di mare. Un brutto ricordo ! Sulla nave c’arano spettacoli di intrattenimento per aiutare a passare il tempo : cantanti, balli e giochi vari. Adele ancora oggi ricorda la paura che ebbe durante uno di tali spettacoli fatto da un mago, il quale tirava fuori dal petto di una giovane il cuore !
A Port Said, Adele assaggiò per la prima volta una banana. Non le piacque affatto.
La nave ‘Sydney’ attraversò il canale di Suez, il Mar Rosso. Nel porto di Aden , ai passeggeri fu consentito di sbarcare per qualche ora ed io comperai dei cuscini decorati con cammelli. Il viaggio da Bombay a Perth durò 16 giorni. Riccardo e Adele ricordano ancora che fu detto loro di non sporgersi mai dalla balaustrada perché la loro testa era la parte di pesante del loro corpo e avrebbero potuto cadere in mare.
Durante il viaggio, un giorno Riccardo andò nella toilette e per lavarsi le mani. sfilò dal polso il suo orologio nuovo di zecca e l’appoggiato sul lavabo. Purtroppo, dimenticò di riprenderlo e quando ritornò nel bagno l’orologio non c’era più! Non l’abbiamo mai dimenticato.

✍️ Riflessione de Il Sognatore Lento

Ci sono viaggi che non appartengono solo a chi li compie, ma a un intero popolo.
Quello del 1961, narrato con semplicità e lucidità, è uno di quei racconti che custodiscono la memoria viva dell’emigrazione italiana: la forza delle donne, il coraggio dei padri, la speranza dei figli.

Partire da un paese dell’Abruzzo interno come Montenerodomo — dove ogni casa era legata alla terra e alla montagna — significava lasciare tutto per costruire un “nuovo mondo” dall’altra parte del mare.
La nave “Sydney”, carica di valigie di cartone, sogni e paure, non era solo un mezzo di trasporto: era un ponte tra due vite. A bordo, in quelle cabine affollate e nei corridoi che odoravano di salsedine, si incrociavano destini.
C’erano canti per scacciare la nostalgia, piccoli episodi di vita come il mal di mare o la banana non gradita, e un dolore che tutti ricordano — la perdita dell’orologio di Riccardo, simbolo di quel tempo che gli emigranti lasciavano indietro, insieme alle loro certezze.

Ma dentro quel racconto c’è anche la dignità profonda di chi non si è mai arreso.
Il marito Alfonso che, dopo due anni di lavoro duro, riesce a chiamare la famiglia; la madre che affronta il viaggio con due bambini e la paura del mare; i compaesani che si stringono insieme nella cabina, condividendo spazio e destino.
È la storia di chi ha costruito con le mani la propria speranza e, nel farlo, ha portato con sé un frammento d’Italia.

Oggi, rileggerla significa restituire voce a quella generazione che ha fatto grande il nostro Paese lontano da casa.
Ogni nome citato — Riccardo, Adele, Alfonso, Quinta, Filomena — non è solo un ricordo familiare: è una pagina della storia collettiva dell’Abruzzo emigrante, fatta di sacrificio, coraggio e tenerezza.

E forse il senso più profondo di questo racconto sta proprio in quel piccolo dettaglio: un orologio perduto in mare, ma un tempo ritrovato nella memoria.
Perché la memoria, come il mare, restituisce sempre ciò che vale davvero.