Ascolta su YouTube → Nel cuore del silenzio – Il Sognatore Lento

dove il silenzio ha voce e il calore diventa musica.”
Molto tempo prima che il mondo diventasse silenzioso,
l’Orso Bartolomeo era solo un cucciolo curioso.
Viveva con mamma orsa e papa orso in una grotta ai margini del bosco,
non lontano dai piccoli borghi che punteggiavano la valle.
Era un luogo dove il giorno e la notte sembravano parlarsi.
All’alba, la luce filtrava tra le foglie come una carezza dorata,
e la sera il vento portava con sé profumi di legna e pane cotto,
le voci lontane degli uomini, il rintocco delle campane.
Il piccolo Bartolomeo si fermava spesso sull’uscio della grotta,
ascoltava, e chiudeva gli occhi.
Ogni suono per lui aveva un colore, un’emozione, una storia.
Ogni sera, quando il vento scendeva dalle montagne,
dal terreno saliva un mormorio misterioso.
Non era forte, ma costante, come un respiro antico che non si fermava mai.
Bartolomeo lo sentiva ogni volta più nitido, come se volesse chiamarlo.
A volte sembrava un canto che si spandeva tra le radici,
altre volte un battito profondo, come il cuore della terra.
Non era il rumore delle foglie né dell’acqua,
non era il passo di qualche animale,

un’emozione, una storia che il vento portava lontano.”
ma qualcosa di diverso, di più profondo.
Era un suono che sembrava vivere dentro la terra stessa,
come se ogni radice, nascosta nel buio, portasse con sé una voce.
Il piccolo orso rimaneva immobile, con le orecchie tese,
mentre l’aria della sera si riempiva di quel mistero.
A volte il vento lo accompagnava, altre lo copriva,
ma lui sapeva che, sotto di tutto, quel suono non smetteva mai.
Era la melodia segreta del mondo,
che nessuno sembrava sentire tranne lui.
E fu così che Bartolomeo cominciò ad ascoltare la terra.
Ogni sera un po’ di più, ogni notte un po’ più vicino,
convinto che, da qualche parte là sotto,
qualcosa o qualcuno stesse davvero cantando.
Bartolomeo amava ascoltare tutto.
Passava ore fermo accanto al fiume,
a seguire il rumore dell’acqua che scivolava tra le pietre.
Ogni goccia, per lui, aveva un suono diverso:
alcune ridevano, altre sembravano sussurrare segreti.

Si sdraiava poi sull’erba e ascoltava il vento che passava tra le foglie.
A volte lo sentiva parlare piano,
altre urlare come un tamburo d’estate tra le montagne.
Quando arrivava l’autunno, le foglie secche diventavano i suoi strumenti preferiti:
le faceva frusciare tra le zampe, e quel suono lo faceva sorridere.
Amava anche il canto degli uccelli al mattino,
il ronzio delle api nei giorni di sole,
e persino il crepitio dei rami che si spezzavano sotto il passo dei cervi.
Ogni rumore era una piccola lezione,
un modo per capire come la vita parlava senza parole.
— Tutto ha un ritmo — diceva tra sé, con lo sguardo pieno di stupore. —
Anche il silenzio, se lo ascolti bene, sa cantare.
Così imparò a distinguere ogni suono del bosco:
il fruscio lieve dell’erba,
il gorgoglio dell’acqua che rotolava giù dal monte,
il respiro profondo degli alberi al calare della notte.
E più ascoltava, più sentiva che qualcosa univa tutti quei suoni,
una melodia nascosta, che non riusciva ancora a capire.
Un giorno, mentre il cielo si velava di nuvole leggere,
Bartolomeo si stese sull’erba e, quasi per gioco,
appoggiò l’orecchio al terreno umido.
Il bosco intorno taceva, ma lì sotto… qualcosa respirava.

All’inizio credette fosse il rumore dell’acqua che scorreva tra le radici,
poi si rese conto che era qualcosa di più:
un suono ordinato, pieno di ritmo e armonia,
come se la terra stesse suonando una melodia segreta.
Rimase immobile, il respiro corto, gli occhi chiusi.
Più ascoltava, più i suoni diventavano chiari.
C’erano voci lontane, campane che suonavano a festa,
e un ritmo lieve, come passi che danzavano sul selciato.
Era la musica degli uomini — quella che nasceva nei borghi,
tra le case, nei cortili, nelle chiese e nelle mani di chi lavorava.
Le radici raccoglievano e trasmettevano,
come vene di legno che portavano il ricordo della vita umana fin sotto il bosco.
Ogni melodia scendeva nel terreno e lì restava,
come un sogno che non voleva morire.

Bartolomeo si sollevò piano, commosso e stupito.
Aveva scoperto che la terra non era muta,
ma piena di memoria e di canto.
E quella scoperta cambiò tutto:
capì che la musica non era solo nell’aria,
ma anche nel silenzio, nella profondità, nel passato.
Da quel giorno Bartolomeo non fu più lo stesso.
Ogni volta che camminava nel bosco,
si chinava a terra per ascoltare quel canto profondo.
Ovunque andasse, la musica lo seguiva:
tra le querce, sotto i castagni, persino nei prati dove il vento dormiva.
Capì che le radici non erano solo parte della terra,

ma fili invisibili che univano il bosco agli uomini.
Finché nei borghi c’era vita, lavoro, voce, risate,
le radici suonavano, portando nel cuore del bosco
la musica di chi costruiva, pregava, amava.
Fu così che Bartolomeo decise di imparare tutto ciò che riguardava la musica.
Voleva capirla, custodirla, e un giorno saperla restituire.
E mentre cresceva, le radici continuavano a cantare per lui,
come maestre pazienti che gli insegnavano la melodia del

mondo.