
C’è un luogo che appartiene alla memoria

silenziosa di Montenerodomo e che oggi pochi ricordano: il cosiddetto Lago. Non era un vero lago, ma un tratto del torrente che si allargava in una piccola ansa, abbastanza ampia da permettere alle donne del paese di chinarsi e lavare i panni. Per generazioni fu il cuore nascosto del borgo, il luogo della fatica quotidiana e della solidarietà femminile.
Le donne partivano presto, spesso all’alba, con grandi ceste di vimini o sacchi di tela colmi di lenzuola e vestiti. Le caricavano sulle spalle, sul capo o, quando era possibile, sul dorso di un asino, e percorrevano strade dissestate e ripide, affrontando il gelo d’inverno e la polvere d’estate. Arrivate al torrente, si inginocchiavano sulle pietre lisce levigate dall’acqua e cominciavano a strofinare i tessuti con saponi fatti in casa, ottenuti da grasso animale e cenere. Ogni macchia tolta era un piccolo trionfo. L’acqua era gelida, le mani si screpolavano fino a sanguinare, ma nessuno si lamentava: era un lavoro necessario, che dava dignità alla casa e decoro alla famiglia.
Il Lago non era solo un luogo di fatica, ma anche di comunità. Lì le donne parlavano, si confidavano, cantavano per spezzare il silenzio e alleggerire le ore. Le più giovani imparavano dalle anziane, ascoltando i loro racconti e i loro consigli, mentre i bambini correvano lungo le rive, giocavano con l’acqua o raccoglievano legna. Non era raro che si sporcassero più dei panni appena lavati, ma anche questo faceva parte della vita.

Ogni stagione cambiava il volto del torrente. In

primavera l’acqua era gonfia e impetuosa, d’estate più docile e amica, pronta ad asciugare presto i panni stesi sui prati. L’autunno portava pioggia e fango, l’inverno metteva alla prova la resistenza di chi, con le mani immerse nell’acqua gelata, non poteva rinunciare a quel compito. Eppure, tra il rumore dell’acqua e i colpi dei panni sulle pietre, c’era sempre spazio per una risata, per un canto, per il conforto reciproco.
Con il tempo, la comunità decise di rendere quel lavoro meno duro. Fu costruita una piccola casa sul torrente: l’acqua scorreva all’interno e al suo fianco furono ricavati i lavatoi in pietra. Non era ancora la comodità delle lavatrici, che sarebbero arrivate decenni dopo, ma rappresentava un passo avanti importante. Al coperto, le donne potevano lavare senza inginocchiarsi sul greto, protette dal freddo e dalla pioggia. Il lavatoio diventò così il nuovo centro della vita femminile: le voci, i canti e le chiacchiere che un tempo

animavano il torrente trovarono lì un’altra casa.
Oggi il Lago e il lavatoio appartengono alla memoria. Non restano che ricordi, qualche pietra consumata e le storie tramandate dagli anziani. Ma basta immaginare per un attimo quelle ceste pesanti, quelle mani screpolate, quelle lenzuola stese al vento come bandiere di resistenza quotidiana, per capire che lì si è custodita la vera forza del paese. Non erano eroi, non erano nomi sui libri di storia, ma donne comuni che, senza chiedere nulla, hanno dato
tutto.
Ricordarle significa rendere giustizia a un pezzo di vita che ha sostenuto intere generazioni. Montenerodomo deve a loro, alle loro mani immerse nell’acqua e alla loro dignità silenziosa, una parte essenziale della sua storia.