🗣️Capitolo 12# Testimonianza – Com’era prima il Pianonianiero

Racconto del Signor Di Tommaso Massimino (detto “di Bene”)

Introduzione

C’erano tempi in cui Montenerodomo era un intreccio di voci, di campi e di stagioni.
Il paese si risvegliava con il suono dei buoi, con il profumo del grano e con il fumo delle calcare che si levava lente nella sera.
Oggi dove sorgono case e una scuola moderna, un tempo c’era soltanto un grande prato, un’aia viva di lavoro e di vita comunitaria.
Da lì, dalle memorie di chi ha vissuto quel tempo, nasce questo racconto — una voce semplice e vera che restituisce il respiro del dopoguerra e della ricostruzione morale di un paese intero.


La testimonianza

Dove ci sono adesso le case e la scuola materna prima c’era un prato. Era un’aia.
Infatti, i contadini nel mese di luglio vi mettevano il grano da trebbiarsi.
Massimino ci ha detto che ogni anno vi cadevano gli schizzi di fuoco dei covoni bruciati. Durante l’anno successe una volta che un incendio di fuoco si propagò. Ma la cosa più interessante che ci ha raccontato è quella della calcara che si faceva in quel prato.

La calcara consisteva nella cottura dei sassi. Attraverso un lungo procedimento i sassi si trasformavano in calce. Si faceva in questo modo: si scavavano da quattro a cinque fosse nel terreno, larghe più o meno come una piccola stanza. Le persone particolarmente esperte nell’arte di fare la calce, chiamavano “maestri”, vi sistemavano i sassi a forma conica. Queste fosse si chiamavano calcara. Chiamarono i signori Rossi e D’Orazio Giovanni (il Carmine). Si sovrapponevano più strati di sassi e in questo modo si faceva la pila di pietre a forma rettangolare di grande forma triangolare, nella parte inferiore veniva messa la paglia per accendere sotto. Nell’apertura più grande si gettava il legno per alimentare il fuoco e si sperava che l’opera durasse per circa quattro giorni. Il fuoco all’inizio era debole, ma dopo si alimentava facilmente, specialmente di notte perché si faceva attenzione a non far spegnere il fuoco.

Questo lavoro impegna le famiglie intere; facevano i turni. Dopo una settimana circa, quando si era sicuri che il fuoco si fosse spento del tutto, si lasciava stare per altre due settimane, si metteva a raffreddare la calce e si tirava fuori. Si faceva per una settimana circa e si otteneva in questo modo la calce viva. La calce viva serviva a imbiancare le case e i sassi ormai cotti venivano messi in grosse ceste e in grande quantità e messi da parte. I sassi, dopo la cottura, diventavano fragili e di colore bianco.

Intanto, si scavava una fossa in un posto sicuro, vi si buttavano i sassi cotti e li si infrangevano con abbondanza di acqua, mescolando bene. Si stava molto attenti perché poteva essere pericoloso: si produceva molto calore e si sprigionava vapore bianco, passando da calce viva a calce spenta. Queste fosse erano ben protette per evitare che vi cadessero dentro animali o persone. La calce era utilizzata per imbiancare le pareti, le case e soprattutto per l’edilizia dopo averla mescolata con la rena. Infatti, in quegli anni non c’era il cemento per costruire.

Massimino ci ha detto che la calce era resistente e dava calore. Ci ha detto anche che la calcara la facevano quasi sempre dopo la trebbiatura perché sull’aia c’era tanta paglia che prima non veniva imballata. La calcara veniva fatta sia prima che dopo la guerra del 1943. Egli ci ha detto anche che sul luogo dove oggi sorge la Scuola materna, prima ci si faceva la fiera degli animali di San Michele dell’8 maggio. Ha aggiunto, inoltre, che, in seguito, questo prato fu aggiustato un po’ e divenne un piccolo campo sportivo; non c’erano neanche le porte ma i ragazzi si divertivano ugualmente.

Nell’immediato dopoguerra (fine anni ’40-inizio anni ’50), l’aia fu utilizzata per costruire le case ai “senza tetto” e così nacque il rione Pianonianiero. Verso la fine degli anni ’50, quando era Sindaco il Signor Antonio D’Antonio, si cominciò la costruzione della scuola materna moderna. Gli operai cominciarono a scavare le fondamenta che avevano circa un metro di profondità, ma trovarono grossi sassi. Massimino racconta che, nonostante li avessero scavati, quei sassi servivano ancora per la raccolta. Le fondazioni sono in cemento e breccia. I lavori durarono circa due anni. Dopo qualche anno di lavoro, nel 1960 fu inaugurata la scuola materna. Quella che vediamo oggi.


Conclusione

Le parole di Massimino Di Tommaso non sono soltanto un ricordo personale, ma una pagina viva della memoria collettiva di Montenerodomo.
Raccontano la fatica e la sapienza di un tempo in cui tutto si costruiva con le mani, con la pazienza e con la fiducia.
Dove oggi c’è un rione abitato, un tempo c’era la polvere del grano, il fuoco della calce e il sorriso dei ragazzi che giocavano tra le pietre.
E in quel passaggio, tra l’aia e le case, tra la calcara e la scuola, c’è tutta la storia di una comunità che seppe rinascere con dignità e coraggio.


📷 Piano Ianiero – Le prime case per i “senza tetto”, anni ’50.

🕰️ Testimonianza raccolta dagli alunni della scuola elementare di Montenerodomo – Archivio della memoria locale.