🗽 Un musulmano sindaco di New York

Quando la democrazia è più forte dei pregiudizi

C’è una notizia che, in un mondo normale, non dovrebbe stupire.
E invece stupisce.
A New York è stato eletto sindaco Zohran Mamdani, 34 anni, il primo musulmano a guidare la città più cosmopolita del pianeta. Figlio di immigrati ugandesi di origine indiana, è cresciuto nel Queens, tra i grattacieli e le comunità che fanno di New York una capitale del mondo.

Ecco la prima osservazione: sarebbe possibile qualcosa di simile in Cina o in Russia?
Un musulmano eletto democraticamente a capo della città più importante del Paese?
La risposta è semplice: no.

In Cina, ogni carica pubblica passa per il vaglio del Partito Comunista. In Russia, l’opposizione sopravvive solo quando non dà fastidio.
In entrambi i casi, la libertà di voto esiste sulla carta, ma non nella pratica.
Ecco perché, quando un cittadino musulmano conquista con il voto popolare il governo di New York, non è solo una vittoria personale — è una dimostrazione vivente di democrazia.


Il bello della democrazia

Negli Stati Uniti, nel bene e nel male, il potere nasce dal consenso.
Puoi essere cristiano, ebreo, ateo, musulmano, o nulla di tutto questo: se i cittadini ti votano, governi.
È la stessa democrazia che ha permesso a Barack Obama, figlio di un kenyano e di una donna bianca del Kansas, di diventare presidente; e la stessa che ha portato Donald Trump, miliardario e populista, alla Casa Bianca.

Il principio è uno: la sovranità appartiene al popolo, non al partito, non al clan, non alla razza, non alla religione.
Chi vince governa, chi perde prepara la prossima campagna.
E questo, nel suo equilibrio imperfetto, è ancora il segreto della forza americana.


Ma in Italia, si finge di non vedere

Eppure, in Italia, si continua spesso a parlare dell’America come di una nazione “non democratica”.
Si ironizza sui contrasti interni, sulle disuguaglianze, sulle armi, su Trump.
Certo, i difetti ci sono, e sono enormi.
Ma una democrazia si misura anche da ciò che permette, non solo da ciò che vieta.

Negli Stati Uniti, un musulmano può vincere a New York.
In Russia, un oppositore non può neppure candidarsi.
In Cina, un voto può esistere solo se è già deciso.

Noi europei — e italiani in particolare — abbiamo perso l’abitudine a riconoscere la libertà quando la vediamo.
Preferiamo giudicare da lontano, dimenticando che la democrazia non è perfezione, ma possibilità: la possibilità di scegliere, di cambiare, di sorprendere.


La lezione di New York

La storia di Zohran Mamdani ricorda che l’America, con tutte le sue contraddizioni, resta un laboratorio di libertà.
Non perfetto, non puro, ma vivo.
Un luogo dove un figlio di immigrati musulmani può convincere milioni di cittadini, vincere elezioni trasparenti e sedersi sulla poltrona più alta del municipio.

È questa la differenza tra un sistema che concede libertà e uno che la teme:
in uno si vota per cambiare, nell’altro si vota per confermare.

E mentre da noi si discute su chi “meriti” di governare o su quale fede sia più “compatibile” con la Repubblica, a New York un musulmano giura di servire tutti i cittadini, non una comunità, non una religione, ma una città intera.
Questo — nel mondo reale — si chiama democrazia.


E da noi?

Anche nel nostro territorio, tra il Sangro e l’Aventino, la parola democrazia non dovrebbe restare un concetto astratto.
Dovrebbe tradursi in partecipazione, trasparenza, fiducia.
Non bastano le elezioni, servono cittadini che ci credono, che si informano, che non votano per abitudine ma per convinzione.

Perché la libertà non vive solo a New York, ma anche nei piccoli paesi, nelle scuole, nei consigli comunali, nei gesti quotidiani di chi vuole contare davvero.
Forse non eleggeremo presto un sindaco musulmano a Lanciano, ma possiamo ancora scegliere di essere una comunità aperta, curiosa, coraggiosa.
E questo — se ci pensiamo bene — è già un buon inizio.

Ma c’è anche un altro pensiero, più amaro.
Da noi, nella democrazia ci si crede sempre di meno.
Tanto è vero che al voto va sempre meno gente.
E quando una società smette di credere nel voto, smette di credere anche in sé stessa.
Perché la vera crisi non è quella dei partiti, ma della fiducia: viviamo in un Paese dove si può votare finché non si disturba.
E allora sì, forse la lezione di New York serve anche a noi: non per imitare l’America, ma per ricordarci che la libertà o la eserciti, o la perdi.


✍️ Il Sognatore Lento
Rubrica: Pensieri Scomposti – riflessioni civili e disordinate sull’attualità