Episodio 47# – Gennaio 1974

Tra lingue, timori e prime soddisfazioni: Matteo scopre Londra dietro al banco di un grande hotel.

La mattina seguente Matteo si svegliò presto, nonostante il sonno leggero della notte. L’agitazione era più forte della stanchezza. Non era la prima volta che affrontava un “primo giorno”, ma questa volta sentiva che tutto era diverso: non era più Sestriere, non era più l’Elba, non era nemmeno la Germania. Questa volta si trattava di Londra, e il peso della responsabilità gli scorreva nelle vene come un brivido.

Il turno del suo primo giorno era fissato dalle 11.00 alle 17.00, una settimana così, e quella successiva dalle 14.00 alle 22.00. Un’alternanza impegnativa, ma anche stimolante. Prese con sé la borsa con la divisa – pantaloni neri e camicia bianca – che avrebbe lasciato nello spogliatoio, mentre in albergo gli avrebbero fornito la giacca.

Alle 11 in punto, come sempre puntuale, Matteo varcò le porte del Royal Lancaster Hotel. L’atrio lo accolse con l’eleganza tipica degli hotel di lusso londinesi: marmi lucidissimi, tappeti spessi, personale che si muoveva con discrezione e ritmo impeccabile. Si sentì minuscolo davanti a quel mondo, ma non lasciò che l’emozione lo frenasse.

Fin dal primo istante si rese conto che non parlare correntemente l’inglese era un ostacolo reale. Bastò il primo cliente che gli rivolse la parola troppo in fretta perché capisse quanto le lezioni seguite in Germania non bastassero. Ma non era uno sprovveduto: sapeva dire good evening o good afternoon, chiedere what can I do for you, rispondere con un of course o un thank you very much. Non era molto, ma bastava a muoversi, a prendere un’ordinazione con dignità e a mostrarsi professionale.

Inoltre parlava già altre lingue: l’italiano, ovviamente; il tedesco, che ormai padroneggiava; il francese, che con Josephine era diventato quasi naturale; e persino un po’ di spagnolo, appreso grazie alle lunghe chiacchierate con Maria, Sofia e Alfonso Morra.
Insomma, non partiva da zero.

Il banco del bar lo affascinò subito: bottiglie disposte in perfetto ordine, bicchieri che andavano e venivano senza sosta, camerieri rapidi nei movimenti, un via vai di clienti dall’accento elegante e cosmopolita. Era un mondo nuovo, più frenetico e sofisticato rispetto a quello lasciato in Germania, e dentro di sé Matteo sentiva crescere il desiderio di dimostrare che, anche lì, avrebbe saputo cavarsela.

Le prime ore, però, non furono facili. Al momento di portare al tavolo due ordinazioni, Matteo si confuse tra gin tonic e vodka tonic, non capendo bene la pronuncia dell’uomo che aveva ordinato. Fu il collega spagnolo, con cui aveva subito trovato intesa, a correggerlo con un cenno rapido e una battuta che smorzò la tensione.
«Tranquilo, amigo, capita a tutti!»

Più tardi, quando un cliente gli chiese del ghiaccio, Matteo non comprese subito. Rimase fermo con il vassoio in mano, finché non vide il barman indicargli il secchiello. Piccoli inciampi, che però lo facevano arrossire e lo costringevano a stringere i denti.

Nonostante le difficoltà, Matteo reagì come sempre: osservava, ascoltava, imitava. Cercava di fissare nella memoria i gesti rapidi dei colleghi, le frasi più comuni usate con i clienti, i sorrisi che accompagnavano ogni bicchiere servito. Capì che, al di là delle parole, la professionalità e la gentilezza erano un linguaggio universale.

La clientela era diversa rispetto a quella che aveva conosciuto fino ad allora: uomini d’affari, per lo più maschi, di ogni razza e provenienza. C’era chi parlava inglese con l’accento americano, chi con quello indiano, chi con un’impostazione aristocratica che lo intimoriva. Per Matteo, ogni cliente era una sfida, ma anche una possibilità di imparare.

Alla fine del turno, stanco ma soddisfatto, Matteo si stava già cambiando nello spogliatoio quando il barman entrò e lo fermò. Gli si avvicinò con un sorriso e gli disse, scandendo lentamente le parole:
«Good job, Matteo. Very professional. Clients… very happy.»

Erano poche frasi, ma per lui suonavano come una medaglia. Il suo primo giorno a Londra si chiudeva con un riconoscimento che gli dava coraggio. Forse non parlava ancora l’inglese, ma aveva già fatto capire chi era: un ragazzo serio, capace e pronto a imparare.

Sul treno della metro, tornando a West Ham con i biglietti ben custoditi in tasca, Matteo si guardò attorno: uomini con il giornale aperto, donne con le borse della spesa, giovani con la musica a tutto volume. Nessuno lo conosceva, nessuno lo attendeva. Ma in quel silenzio affollato sentì di avere trovato il suo posto: la sfida era appena iniziata.

Tornò a casa senza intoppi, salutò Giuseppe e sua moglie, e si chiuse in camera con un pensiero chiaro in mente: il giorno dopo sarebbe tornato al Royal Lancaster con più coraggio.
Ogni errore era una lezione, ogni sorriso un passo avanti.

Era stanco, ma felice.
Londra non lo aveva respinto: lo stava mettendo alla prova.
E lui era pronto a dimostrare di saper crescere ancora.


📍Luogo: Royal Lancaster Hotel, Londra
🎓 Temi: lavoro, lingua, coraggio, adattamento
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