La polenta con le patate – Il rito giallo di Montenerodomo

✒️ Rubrica: Cucina della memoria – Il Sognatore Lento

A Montenerodomo la polenta non era solo un piatto: era un rito di casa, un gesto antico che univa famiglia, fuoco e tradizione.
Ma qui, a 1165 metri d’altitudine, la polenta aveva un segreto tutto suo: le patate.

Le donne del paese lo sapevano bene.
Le patate, lessate e schiacciate nell’acqua bollente, rendevano la polenta più morbida e nutriente.
Era un modo per allungare la farina di mais quando le provviste scarseggiavano, ma anche per dare forza durante i lunghi inverni, quando il freddo entrava dalle porte e la neve copriva ogni sentiero.

Il rito cominciava all’alba.
Nel camino, sotto la catena di ferro, pendeva il paiolo di rame lucido.


L’acqua iniziava a tremare piano, e dentro vi cadevano le patate tagliate a pezzi.
Poi, con gesto esperto, le donne versavano la farina gialla “a pioggia”, e cominciavano a girare con il “cucchiariùne”, il lungo bastone di legno che richiedeva forza e costanza.
La polenta non si lasciava dominare: bisognava girarla con ritmo, con rispetto, senza mai fermarsi, finché diventava liscia e cremosa.

In cucina c’era silenzio, interrotto solo dal respiro del fuoco e dal borbottare del paiolo.
Le donne, con il fazzoletto legato sulla fronte, reggevano la fatica con la grazia di chi sa che quel gesto è necessario.
Perché in montagna, anche il cibo era una prova di pazienza e d’amore.

Quando la polenta era pronta, si rovesciava sulla spianatora di legno, larga e consumata dal tempo.
E lì diventava una festa: sopra si versava il sugo di maiale, o di salsicce e pomodoro, e il profumo si spandeva in tutta la casa.
Non c’erano piatti: ognuno mangiava dal proprio lato, e al centro restava il sugo più ricco, dove spesso le forchette si incontravano tra una risata e una chiacchiera.

La polenta con le patate non era solo un cibo, ma una lezione di vita: insegnava la misura, la pazienza e la gioia del condividere.
E quando tutto finiva, rimaneva il paiolo vuoto da grattare: la “tostarella”, il premio di chi aveva girato di più e non si era mai fermata.

Oggi, forse, quel gesto si è perso. Ma basta un paiolo di rame accanto al fuoco per sentire ancora la voce delle donne di Montenerodomo che dicevano:

“Gira piano, che la polenta dev’essere come la vita: non si brucia, si accompagna.”

E chissà, con il clima che cambia e la terra che torna a respirare, forse un giorno rivedremo nei campi di montagna il granoturco dorato, pronto a raccontare ancora una volta la storia di chi ha saputo vivere con poco, ma con tutto.

Il Sognatore lento


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