LUNA TRA DUE MONDI: Il quaderno che sussurra

Luna stringeva lo spallaccio dello zaino così forte che le dita le facevano male.
Davanti a lei la nuova scuola sembrava più grande di quanto apparisse nelle foto sul sito: tre piani di finestre, un cortile con qualche albero spelacchiato e una folla di ragazzi che ridevano, parlavano, si abbracciavano come se si conoscessero da sempre.
Lei, invece, non conosceva nessuno.
Sentì il telefono vibrare in tasca. Un messaggio.
Mamma: “Andrà bene. Sei più forte di quanto pensi ❤️”
Luna sorrise appena. Avrebbe voluto che la mamma fosse lì, in quel momento, non dietro uno schermo. Ma il lavoro non le permetteva di accompagnarla, non sempre almeno.
Avevano cambiato città da poco, e tutto era “nuovo”: nuova casa, nuova fermata dell’autobus, nuova scuola.
Nuove paure.
Un gruppo di ragazze le passò accanto, profumate di bagnoschiuma e lacca, con lo zaino in spalla e la risata facile.
«Hai visto la prof di matematica? Dicono che è tremenda!»
«No, peggio quella di italiano, controlla anche le virgole!»
Risero ancora, come se fosse tutto un gioco.
Luna abbassò lo sguardo.
Le sembrò, per un attimo, che dal portone uscisse una luce strana, una specie di bagliore morbido, appena percettibile.
Strizzò gli occhi.
Il portone era solo un portone, di metallo verde, un po’ scrostato.
Come sempre, quando era agitata, la sua fantasia cominciava a lavorare.
«Dai, entra» sussurrò a se stessa. «Non sarà la fine del mondo.»
Fece un passo. Poi un altro. Il portone si chiuse alle sue spalle con un tonfo secco che sembrò dire:
Ormai sei dentro.
Il corridoio profumava di detersivo e carta.
Le pareti erano piene di cartelloni colorati: disegni, frasi, un tema premiato, il volantino del giornalino scolastico.
Luna si avvicinò a una bacheca, solo per farsi finta occupata: non voleva sembrare quella che non sa dove andare, anche se… non lo sapeva davvero.
Sul foglio con l’elenco delle classi cercò la 1ª B.
Tognazzi Luca, Tonelli Sara, Valentini Chiara…
E poi la vide.
“Vespri Luna”
Ogni volta che leggeva il suo cognome le sembrava di sentire il suono di una campana lontana, di quelle della sera.
«Vespri… che nome strano» aveva commentato una maestra alle elementari.
Luna se lo ricordava ancora.
I nomi strani, come le persone che non fanno troppo rumore, restano impressi più a lungo del previsto.
Si incamminò verso l’aula assegnata. Ogni passo risuonava sul pavimento lucido.
Le porte avevano piccoli riquadri di vetro smerigliato.
Luna ci passava davanti e, a volte, credeva di vedere delle ombre muoversi in modo diverso da come si muovevano i ragazzi dentro. Come se ci fosse un secondo strato di movimento, più lento, più antico.
Scosse la testa.
«Basta, Luna. È solo ansia.»
Quando arrivò davanti alla porta con il cartello “1ª B”, il cuore prese a battere più veloce.
Dentro c’era un brusio continuo di voci.
Spinge la porta.
Entrò.
Alcuni erano già seduti, altri si spostavano tra i banchi cercando di mettersi vicino all’amica, al compagno delle elementari, a qualcuno che “già conosci”.
Quella parola pesava: già.
Lei non “già conosceva” nessuno.
Una ragazza con una coda perfetta e un braccialetto blu al polso la guardò un istante, poi tornò a parlare con la compagna accanto.
Un ragazzo con i capelli ricci spostò lo zaino dalla sedia come per dire “qui è occupato”.
Luna si rese subito invisibile. Le riusciva bene.
Trovò un banco libero vicino alla finestra.
Meglio così: se le cose andavano male, poteva sempre guardare fuori.
Appoggiò lo zaino, tirò fuori l’astuccio, il diario e un quaderno dalla copertina semplice, color carta da zucchero.
Lo aprì a caso, solo per avere qualcosa da fare.
Sulle prime righe, scritte il giorno prima, c’erano due parole:
“Nuova scuola.”
E sotto una frase che le era uscita di getto, senza pensarci troppo:
Forse qui imparerò a non avere paura.
Le dita passarono sopra le lettere.
Per un attimo, giurerebbe che le parole avevano tremato leggermente, come se fossero vive.
Entrò la prof di italiano.
Cappotto appoggiato a metà sul braccio, occhiali sul naso, un mucchio di fogli in mano.
«Buongiorno, ragazzi.»
Il brusio calò, qualcuno smise di chiacchierare a metà frase.
La prof guardò i volti, uno a uno, soffermandosi su ognuno con un’intensità che mise Luna a disagio.
«Io sono la professoressa Rinaldi. Quest’anno vi seguirò in italiano e in storia. Non mi interessa se mi trovate simpatica o no» disse con un mezzo sorriso. «Mi interessa che impariate a pensare con la vostra testa.»
Qualcuno in fondo borbottò: «Oddio…»
Qualcun altro rise.
«Adesso facciamo una cosa semplice» proseguì la prof. «Vi chiedo di presentarvi. Nome, una cosa che vi piace, una cosa che vi preoccupa di questa nuova scuola. Chi inizia?»
Silenzio.
Tutti si guardavano l’un l’altro, sperando che a parlare fosse qualcun altro.
Si alzò la ragazza con la coda perfetta.
«Mi chiamo Chiara. Mi piace ballare e… mi preoccupa la matematica.»
Risatine generali.
Poi un altro, poi un’altra ancora.
Nomi, hobby, timori.
Quando toccò a Luna, sentì il sangue salire alle guance.
«Vespri Luna» disse piano.
«Più forte, non siamo in biblioteca» la incoraggiò la prof, senza cattiveria.
«Mi chiamo Luna Vespri» ripeté, questa volta più chiaro. «Mi piace disegnare… e mi preoccupa…»
Fece una pausa. Non voleva dire “mi preoccupa tutto”.
Guardò fuori dalla finestra: il cielo era di un grigio gentile, non minaccioso.
Le venne in mente la frase del suo quaderno.
«…mi preoccupa non riuscire a farmi degli amici.»
Il silenzio che seguì le sembrò infinito, ma durò solo un secondo.
Qualcuno tossì, qualcun altro si aggiustò la sedia.
La prof la guardò con un’espressione che somigliava a un “brava così”.
Luna si sedette di nuovo, col cuore che correva.
All’intervallo, il corridoio esplose di voci.
La 1ª B era in mezzo a tutte le altre. Chiara si era già unita a un gruppo di ragazze che sembravano conoscersi da anni, anche se si erano viste due giorni prima alla riunione per il test d’ingresso.
Luna si avvicinò al distributore dell’acqua, solo per avere un motivo per stare in piedi senza sembrare smarrita.
Una ragazza bassina, con i capelli ricci raccolti in un mezzo pasticcio sopra la testa, stava combattendo con il tasto della macchinetta.
«Non va…» brontolò. «Questa cosa mi odia.»
Luna sorrise appena.
«Devi tenerlo premuto un po’ più a lungo» suggerì piano.
La ragazza la guardò, poi riprovò come le aveva detto.
L’acqua cominciò a scendere nel bicchiere di plastica.
«Oh!» fece la ragazza, sorpresa. «Grazie!»
Si voltò verso di lei, come se solo in quel momento la vedesse davvero.
«Io sono Sara» disse, allungando la mano con una naturalezza disarmante. «Tu sei Luna, vero?»
Luna annuì.
«Nome bellissimo, tra l’altro» aggiunse Sara. «Io volevo chiamarmi come un pianeta, ma i miei hanno detto che non ero un satellite.»
Rise da sola, poi arrossì.
Luna rise piano. Non era abituata a quel tipo di umorismo un po’ scemo ma sincero.
«Se vuoi… possiamo stare vicine in aula dopo» propose Sara, quasi con la stessa timidezza di Luna.
Quella frase le entrò nel petto come una piccola luce.
«Sì, mi piacerebbe» rispose.
Quando rientrarono in classe, Luna sentì qualcosa cambiare.
Non era più “la nuova” da sola nel banco accanto alla finestra.
Era “Luna, quella che forse ha già una quasi-amica”.
Sara si sedette nel banco accanto al suo, appoggiò lo zaino e tirò fuori un diario pieno di adesivi, cuori, stelline, e una scritta fatta con la penna glitter:
“Non smettere di brillare.”
Luna, invece, guardò il suo quaderno color carta da zucchero.
Non aveva adesivi, non aveva glitter.
Aveva solo parole.
Lo aprì di nuovo, senza motivo preciso.
Le prime due righe erano sempre lì:
“Nuova scuola.
Forse qui imparerò a non avere paura.”
Solo che questa volta, sotto, c’era qualcosa di nuovo.
Una terza frase, che Luna era sicura di non aver scritto.
La paura non scompare.
Semplicemente, impari a camminarle accanto.
Rabbrividì.
Guardò attorno. Nessuno le stava facendo scherzi: nessun compagno con la penna in mano, nessuno che la fissasse ridendo.
Sara stava solo disegnando piccoli fulmini sul bordo della pagina del suo diario.
Luna poggiò l’indice sulle parole.
Per un istante, il tratto d’inchiostro sembrò diventare un po’ più scuro, come se si fosse appena asciugato.
Il cuore prese a batterle più forte.
Le sue “fantasie”, da sempre, erano state solo questo: fantasie.
Ma quello…
Quello era diverso.
La prof entrò di nuovo in aula, e Luna richiuse il quaderno di scatto, come se avesse qualcosa da nascondere.
Durante l’ultima ora, mentre la classe parlava del regolamento, delle uscite didattiche e delle attività del pomeriggio, Luna continuava a pensare a quella frase.
Chi l’ha scritta?
Perché proprio sul mio quaderno?
Perché sembra sapere esattamente quello che provo?
Fu allora che, alzando lo sguardo verso la finestra, la vide.
Per un attimo, solo un attimo, fuori dal vetro, c’era come una traccia luminosa nell’aria, sottile e morbida, come il bordo di una nuvola che brilla al tramonto.
Non era un riflesso.
Non sembrava neanche un raggio di sole.
Sembrava… un segno.
E Luna, senza saperlo ancora, aveva appena messo piede nel primo incrocio tra i suoi due mondi:
quello normale, fatto di compiti, prof e nuove amiche…
e quello che, piano piano, avrebbe iniziato a parlarle tra le righe dei quaderni, nei riflessi dei vetri, nei silenzi dei corridoi.
E tutto cominciava proprio da lì.
Dal primo giorno nella scuola che faceva paura.

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