🪑 Capitolo 1 –L’Italia degli Aumenti Invisibili

Sei capitoli di satira e un finale al vetriolo

La poltrona non perdona

In Italia ci sono due certezze assolute:
1️⃣ La morte.
2️⃣ Gli aumenti di stipendio ai vertici pubblici.

Tutto il resto è negoziabile: le tasse, le leggi, i governi, la pazienza dei cittadini.
Ma non il rialzo dello stipendio del dirigente: quello è scolpito in un marmo che neanche Michelangelo avrebbe osato toccare.

Perché la poltrona, da noi, non è un oggetto.
È una dimensione esistenziale.
Un’esperienza mistica.
Una metamorfosi spirituale che avviene appena il fondoschiena entra in contatto con il velluto istituzionale.

C’è chi parla di “fisica quantistica”, chi di “campi magnetici”.
Io credo più semplicemente che sia una reazione chimica:
uomo + poltrona = aumento automatico.

In Olanda hanno i tulipani.
In Giappone il sake.
In Argentina il tango.

Ogni Paese ha qualcosa di tipico, un simbolo riconoscibile, quasi un marchio di fabbrica.
E noi italiani?

Noi abbiamo un’altra tradizione, meno poetica ma molto più resistente al tempo:

l’aumento di stipendio dei vertici pubblici.

Un’arte tutta nostra, coltivata con passione e continuità, tramandata come un mestiere antico: quando c’è una poltrona, c’è sempre un modo per far crescere il compenso.
È il nostro prodotto tipico nazionale.
Nessuno ce lo copia.
Nessuno ce lo ruba.
Nessuno riesce a farlo meglio di noi.

Ed eccoli lì, i protagonisti del nostro romanzo satirico: i vertici ARERA.
L’Autorità nata con un compito quasi eroico: proteggere i cittadini dalle bollette assassine, dalle tariffe volubili, dai balzi del mercato energetico.

Una missione nobile, quasi cavalleresca: difendere i deboli dai draghi dell’aumento trimestrale.

Peccato che, come nelle migliori tragedie greche, l’eroe abbia scelto la strada più prevedibile: difendere sé stesso.
A giudicare dagli ultimi sviluppi, la priorità sembra essere passata da “proteggere il cittadino” a “proteggere il proprio compenso”, con una naturalezza che sfiora la poesia.

E infatti, in prossimità della fine del mandato, ecco il lampo di genio:
un aumento da 70.000 euro l’anno.
Così, come si offre un amaro dopo cena: non se ne sente il bisogno, ma fa sempre piacere.

Il cittadino, intanto, per capire come funzionano questi impulsi, prova a sedersi sulla propria sedia di legno della cucina.
Non succede nulla.
Nessuna illuminazione.
Nessun istinto a chiedere un aumento.
Solo una gamba che traballa.

La differenza sta tutta lì.

La poltrona pubblica è un oggetto magico.
Appena ci appoggi sopra la schiena, qualcosa cambia:
la percezione della realtà, il rapporto con la dignità comune, perfino la memoria.

“Bollette alte?”
Non ricordo.
“Famiglie in difficoltà?”
È un tema interessante, lo approfondiremo.
“Stipendio da aumentare?”
Ah, questo sì! Questo sì che è urgente!

E così, l’Autorità nata per proteggerci dall’aumento delle bollette finisce per proteggere qualcun altro.
Non noi.
Non le famiglie.
Non gli artigiani che accendono il forno con la stessa trepidazione con cui si apre un testamento.

No:
proteggono loro stessi.

E mentre si firmano gli adeguamenti, le delibere, gli “accantonamenti” (parola splendida, che permette di aumentarsi lo stipendio senza aumentarselo davvero), resta la domanda più semplice e più dolorosa:

Ma esattamente… che cosa stanno proteggendo?

La risposta c’è.
E non serve neanche indovinare.