
Ci sono notizie che non fanno semplicemente rumore:
producono onde sismiche nell’orgoglio dei popoli.
Il riconoscimento UNESCO alla Cucina Italiana è una di queste.
In Italia lo abbiamo accolto con un sorriso largo, quasi tenero.
All’estero… un po’ meno.
E in Francia, inutile negarlo, si è sentito un fruscio particolare:
quello del fegato che si rode, un suono antico, inconfondibile,
un’eco che non risuonava così forte dal 9 luglio 2006.
🎉 Italia in festa, con la naturalezza di chi non deve dimostrare nulla
Provate a immaginare la scena.
A Roma parte l’applauso, come se il Colosseo avesse appena vinto un’altra battaglia.
A Napoli si stappano i sughi, perché il Prosecco è per le occasioni importanti,
ma un buon ragù, quello sì che fa festa davvero.
A Bologna compare un tortellino commosso,
che quasi si aggiusta il cappello per la foto di rito.
Tutto normale: in Italia, quando qualcosa è motivo di orgoglio,
è sempre un orgoglio collettivo,
fatto di tavole apparecchiate e risate sincere.
Perché la nostra cucina non è un insieme di ricette:
è una lingua.
Si parla, si ascolta, si racconta, si tramanda.
Ed è proprio questo che l’UNESCO ha voluto premiare.
In Francia, invece, succede una cosa particolare…
Il silenzio.
Poi un sussurro indignato:
«Comment ça?! Les Italiens!?»
Gli chef parigini cercano conforto tra una crema al burro e una baguette in lacrime.
In molte cucine d’alta gamma si vedono i cuochi sedersi un istante,
come guerrieri colpiti da una rivelazione dolorosa.
Perché diciamolo con franchezza:
i francesi sono abituati a vincere tutto.
Hanno il Louvre,
hanno la Tour Eiffel,
hanno De Gaulle nei ricordi,
hanno un vino che ha scritto capitoli di storia.
E soprattutto hanno una convinzione:
che la haute cuisine sia il vertice indiscusso del mondo gastronomico.
Che l’UNESCO incoroni gli italiani?
Questo no.
Questo è un colpo basso.
Un tortellino alla crema nell’orgoglio nazionale.
🍷 Due culture gastronomiche, due filosofie di vita
La Francia ha costruito la propria identità culinaria sulla tecnica,
sulla precisione, sulla codificazione:
ogni salsa ha il suo nome,
ogni taglio la sua definizione,
ogni piatto la sua ritualità.
L’Italia, invece, ha costruito la sua grandezza sulla varietà e sulla verità:
una cucina nata nelle case, nei borghi, nelle famiglie contadine,
capace di trasformare il necessario in meraviglioso.
La nostra forza non è l’alta torre,
ma la profondità delle radici.
La cucina italiana è come l’Italia stessa:
una costellazione di dialetti, paesi, stagioni, gesti familiari.
È la nonna che gira il sugo con la lentezza di un rito;
è il fornaio che si alza alle quattro;
è la pasta che si allunga sulla spianatoia con una precisione che nessuna scuola può insegnare.
E l’UNESCO, nel suo riconoscimento, ha premiato proprio questo:
la cultura del cibo come patrimonio vivente, non come museo.
🍅 Il pomo della discordia: la pasta al pomodoro
I francesi possono anche inventarsi trecento tipi di burro,
ognuno con una denominazione più lunga di un romanzo,
ma nulla può preparare un parigino medio a questa scena:
Il mondo applaude la pasta al pomodoro.
«C’est impossible!» direbbero nei bistrot.
Per loro è “solo pasta con una salsa rossa”.
Ignari che quella salsa rossa vale quanto la Gioconda:
prova a copiarla e qualcuno si arrabbia.
Prova a migliorarla e il mondo ride.
Il segreto non è la ricetta:
è la storia che c’è dentro.
È l’incontro tra il Mediterraneo, il sole, la terra,
le mani che impastano e i secoli che passano.
Una cosa che non si insegna in una scuola di cucina.
E che, soprattutto, non si brevetta.
😌 La reazione italiana: elegante, ironica, disarmante
Mentre qualcuno rosica oltre le Alpi,
gli italiani reagiscono con la loro solita grazia disordinata.
Nessun trionfo esagerato.
Nessuna sfilata.
Nessuna trombetta patriottica.
Solo un timido, affettuoso, irresistibile:
«Eh vabbè, ce lo meritavamo.»
E forse è proprio questo che manda in tilt i francesi:
la nostra capacità di essere orgogliosi
senza trasformarlo in un monumento.
Perché per noi il cibo è casa.
È tutto qui.
❤️ Perché l’Italia ha vinto davvero
Non abbiamo vinto perché abbiamo piatti più belli, più famosi o più costosi.
Abbiamo vinto perché abbiamo una visione del cibo come legame,
come racconto condiviso, come rito comunitario.
La cucina italiana sa mettere d’accordo un bambino di cinque anni
e un nonno di novanta.
Ha il potere di far sedere a tavola tre generazioni che non vanno d’accordo su nulla.
È democratica, inclusiva, affettuosa.
E questa, cari cugini francesi,
non è questione di tecnica.
È questione di cuore.
Quello che in Italia, da sempre, finisce anche nel piatto.
Perché l’UNESCO ha scelto noi?
Perché la cucina italiana non è solo un patrimonio da conservare.
È un patrimonio che vive, ogni giorno:
- nelle case
- nelle trattorie
- nei mercati
- nei borghi
- nei pranzi della domenica
- nei ricordi dei figli emigrati
È un patrimonio che cambia, che respira, che si rinnova.
E che non ha bisogno di parole complicate per essere grande.
Perché, alla fine, la verità è semplice:
pochissime cose uniscono il mondo quanto un piatto di pasta.
🎯 Conclusione (col sorriso)
E così, mentre l’Italia festeggia con un cucchiaio di ragù,
in Francia qualcuno cerca ancora di digerire la notizia.
Non preoccupatevi, amici d’Oltralpe:
vi vogliamo bene lo stesso.
E se proprio vi rode il fegato…
beh, potete sempre condirlo con un filo d’olio italiano.
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