Non siamo capaci di tenerci nemmeno i giornali

Prima le idee. Poi il lavoro.
Il mercato non ha fretta.

(Cronaca satirica di un Paese che esporta tutto, anche il pensiero)

In Italia abbiamo finalmente raggiunto la piena maturità.
Non produciamo più solo emigranti, ma idee già pronte per l’esportazione.

Dopo aver mandato all’estero
i giovani (quelli “con voglia di fare”),
i tecnici (quelli “che qui non trovano spazio”),
i medici (quelli “che costano troppo”),
i cuochi (che poi all’estero diventano eccellenze),
ora spediamo fuori anche i giornali.

E non giornaletti di quartiere, ma Repubblica.
Con annessa galassia editoriale.
Pacco unico, spedizione tracciata.

Destinazione?
Grecia.

Sì, proprio quella Grecia che per anni abbiamo usato come esempio negativo nei talk show:
«Guarda la Grecia!»
«Rischiamo di fare la fine della Grecia!»

Ora invece facciamo una cosa più elegante:
le vendiamo il nostro giornale.

Repubblica va in vacanza. Lunga.
Tecnicamente si dice “cambio di proprietà”.
Nella pratica, Repubblica potrebbe finire sotto il controllo del gruppo greco Antenna.

Non è una battuta.
È un’operazione industriale.

Il giornale resterà italiano, ci assicurano.
Un po’ come certi ristoranti “tipici” all’estero,
dove la carbonara è con la panna
ma il cameriere giura che è romana.


Non è delocalizzazione, è globalizzazione (detta piano)

Attenzione: guai a usare parole brutte.
Non si dice “perdiamo un pezzo di sovranità culturale”.
Si dice mercato.

Il mercato decide.
Sempre.
Soprattutto quando decide altrove.

E così scopriamo che:

  • possiamo perdere fabbriche → normale
  • possiamo perdere banche → inevitabile
  • possiamo perdere giornali → moderno

L’importante è chiamarlo con parole rassicuranti, tipo opportunità.


Sovranità editoriale, questa sconosciuta

Nel frattempo, in politica, si continua a parlare di sovranità.
Con grande trasporto emotivo.

Peccato che:

  • non controlliamo più l’industria,
  • non controlliamo più le filiere,
  • non controlliamo più l’informazione.

Ma tranquilli:
controlliamo ancora i commenti sotto i post.

Quella sì che è democrazia diretta.


“Tanto i giornali non li legge più nessuno”

È la frase che mette tutti d’accordo.
L’alibi perfetto.

Se i giornali non contano più,
perché preoccuparsi se finiscono all’estero?

Il problema è che i giornali contano proprio quando non li leggono in massa.
Contano perché:

  • selezionano,
  • verificano,
  • tengono memoria,
  • disturbano.

E infatti sono la prima cosa di cui ci liberiamo.


Il paradosso finale

La scena è questa:

Un Paese che
urla contro “le élite”,
disprezza la competenza,
ride del pensiero complesso,
poi si stupisce quando il pensiero complesso fa le valigie.

E se ne va con discrezione.
Come i giovani dei borghi.
Come le redazioni.
Come le idee che non trovano più casa.


Conclusione (satirica, ma non troppo)

Forse non è vero che non sappiamo tenerci Repubblica.
Forse è peggio.

Forse non sappiamo più tenerci
l’idea che un giornale serva a capire,
non solo a schierarsi.

Così lo vendiamo.
Lo salutiamo.
E poi, tra qualche anno, diremo:

«Non capisco più questo Paese.»

Tranquilli.
Ve lo spiegheranno.
Magari con accento greco.


Post scriptum – Val di Sangro

E a chi pensa che queste cose riguardino solo le redazioni di Roma,
conviene ricordare una regola semplice:
quando si comincia a vendere ciò che produce pensiero, prima o poi si vende anche ciò che produce lavoro.

Oggi sono i giornali.
Domani potrebbero essere le fabbriche che tengono in piedi interi territori.

Qui, nella Val di Sangro, lo sappiamo bene:
ci sono nomi che non sono solo aziende,
ma colonne portanti di una comunità.

E se passa l’idea che tutto sia cedibile, trasferibile, sacrificabile in nome del “mercato”,
allora nessuno è davvero al sicuro.

Perché la logica è sempre la stessa:
prima si vende ciò che non fa rumore,
poi ciò che fa reddito,
infine ciò che faceva futuro.

Quando ce ne accorgeremo, probabilmente qualcuno dirà ancora:
«Tranquilli, è un’operazione industriale.»

E intanto il silenzio, come sempre,
arriverà prima delle spiegazioni.