🥣 Quando per colazione non c’erano le Gocciole…

…ma siamo cresciuti lo stesso.

A Montenerodomo, la colazione non era fatta di confezioni colorate né di biscotti famosi. Era un rito semplice, che parlava di vita vera, quella che sapeva di stalla, di fumo, di mani che lavoravano senza fretta, di una casa che non aveva bisogno di apparire perché già ricca di ogni cosa essenziale.

Per i bambini, la mattina iniziava così:
– latte appena munto, ancora tiepido, spesso portato dal vicino;
– pane spezzato dentro il latte, che si ammorbidiva piano, lentamente;
– oppure una fetta di pane con un velo di zucchero sopra, che faceva sembrare anche il più grigio dei giorni un po’ più dolce.

E nel giorno del pane succedeva il miracolo:
Le mamme friggevano una pallina di impasto e nasceva la ciambella fritta, bollente e profumata. La tuffavano nello zucchero, e un’onda di dolcezza invadeva la casa. Un profumo che riempiva i vicoli. Ogni bambino che passava da una porta aperta sapeva che avrebbe ricevuto la sua. In un attimo, il mondo sembrava sorridere, e anche i più piccoli sapevano che la loro colazione aveva un sapore che non si trovava altrove.

Per i grandi, la colazione era diversa, più sostanziosa e silenziosa:
– una fetta di pane con un po’ d’olio, che scivolava nel cuore come il calore di casa;
– oppure un pezzo di salame o di formaggio, che raccontavano di una terra che dava poco ma dava tutto;
– nei giorni di festa, un po’ di prosciutto – un lusso raro, che faceva sentire speciale ogni mattina;
– poi il caffè nero, forte, che risvegliava i sensi come una carezza inaspettata, e, a volte, corretto con un po’ di grappa per darsi la forza del giorno.
– E per molti, immancabile, un piccolo bicchiere di vino prima di andare ai campi, come una promessa di ritorno, come un conforto di coraggio.

Non di rado, quando c’era da “mettere qualcosa sotto ai denti”, si mangiava la pasta e fagioli della sera prima, il piatto che restava caldo nella pentola di terracotta e che aveva il potere di saziare e riscaldare, perfetto per chi partiva presto. Un piatto che parlava di ritmi lenti, di fatica e di amore per la terra.
E se non c’era la pasta e fagioli, c’erano sempre le pizze e foje, una focaccia preparata con erbe selvatiche e farina, che accompagnava ogni pasto con il suo profumo inconfondibile. Ogni famiglia aveva la sua ricetta, tramandata da madre a figlia, come un piccolo segreto che veniva custodito e condiviso.

Il profumo del caffè riempiva la cucina e svegliava persino il gallo. Il caffè vero, quello forte, si beveva poco. Ma la domenica, quando si preparava la moka da sei tazze per tutta la famiglia, i bambini correvano solo per sentire:
“Mammà, fammi sentì l’odòre!”
La madre apriva il coperchio della moka, come se stesse aprendo un tesoro, e lasciava che quel vapore nero e profumato raggiungesse i nasini curiosi. Era il loro “caffè”, un lusso di naso, una ricchezza che si sentiva nella testa, nel cuore e nelle mani pronte al lavoro.

Niente merendine. Niente biscotti perfetti.
Solo ciò che c’era, ciò che bastava, e ciò che fortificava il corpo e la volontà. Una colazione che non chiedeva di essere perfetta, ma che ogni giorno riempiva la pancia e l’anima, facendo sentire ogni bambino come parte di un mondo che non era fatto di cose da comprare, ma di gesti che parlano.

La colazione, in fondo, non era solo un momento del giorno, ma un rituale che segnava il passaggio da una notte di riposo a una nuova giornata di fatica e speranza. Ogni gesto, ogni piatto, portava con sé il peso di una tradizione che non si trasmetteva solo attraverso le parole, ma attraverso l’odore, la consistenza del cibo, il suono della campana che chiamava al lavoro. I bambini, pur essendo ancora lontani dall’impegno quotidiano, imparavano presto che la colazione non era solo un atto fisico, ma anche un modo di affrontare la vita. E chi cresceva in quel mondo, capiva che ogni piccola cosa — anche una fetta di pane con un po’ di zucchero — era un dono, un segno di amore che non si sprecava. La vita, come il pane, doveva essere condivisa, lentamente, giorno dopo giorno.

E siamo cresciuti così.
Semplici.
Pieni di essenziale.
Pieni di amore per il nostro pezzo di terra.

Non avevamo gocciole, né biscotti perfetti, ma siamo cresciuti lo stesso.
Semplicemente, forti di ciò che era davvero importante.

✒️ Il Sognatore Lento


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