

C’è una foto che oggi verrebbe fermata a un posto di blocco immaginario.
Non per eccesso di velocità,
ma per eccesso di realtà.
Un asino.
Cinque persone.
Una madre davanti, quattro bambini dietro.
Niente casco, niente seggiolino, niente manuale di istruzioni.
Solo vita che si sposta.
Asino omologato 5 posti (prima dell’Europa)
All’epoca l’omologazione era semplice:
se reggeva, andava bene.
Se arrivava, era giusto.
Se non si lamentava, era perfetto.
L’asino non chiedeva contributi.
Non faceva bandi.
Non prometteva rilanci.
Camminava.
Trasportava una famiglia intera
senza slogan sulla natalità,
senza convegni sulla povertà,
senza indignazione a orologeria.
Oggi non passerebbe
Oggi quella scena durerebbe trenta secondi:
una foto,
un post indignato,
un commento esperto,
una segnalazione.
«Non è sicuro.»
«Non è a norma.»
«Non è dignitoso.»
Poi tutti a casa.
Con l’auto parcheggiata davanti.
E la coscienza assoluta pulita.
Quando la povertà non faceva rumore
Quella non è miseria da esibire.
È povertà silenziosa,
quella che non ha tempo di raccontarsi
perché deve arrivare da qualche parte.
I bambini non hanno giocattoli,
ma stanno insieme.
La madre non ha alternative,
ma ha direzione.
L’asino non ha scelta,
ma ha passo.
E il passo lento, a volte,
porta più lontano di mille accelerazioni inutili.
Montenerodomo non è nella foto
Ma c’è.
C’è nei gesti.
Nel carico umano.
Nel modo di stare al mondo senza chiedere scusa.
Montenerodomo, come tanti paesi dell’Appennino,
ha conosciuto strade così,
madri così,
infanzie così.
Non identiche.
Ma vere.
L’asino non prometteva futuro
Lo portava.
Oggi promettiamo molto.
Portiamo meno.
Abbiamo regole,
ma poca strada.
Abbiamo parole,
ma meno spalle capaci di reggere.
E forse la domanda non è
se quell’asino fosse a norma.
La domanda è se noi, oggi,
siamo ancora capaci
di portarci dietro
quello che conta davvero.
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