“Menu palestinesi nelle scuole: un simbolo che scuote le nostre mense”

Dalla Toscana alle nostre scuole: quando il cibo diventa un messaggio

La cucina italiana è riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità.
Non è un titolo decorativo, né un premio da esibire nelle fiere del turismo.
È il riconoscimento di una cultura educativa, fatta di stagioni, territori, gesti quotidiani, memoria condivisa.

Eppure, in alcune mense scolastiche della Toscana, si è scelto di proporre un

menù palestinese come gesto simbolico.

Qui è necessario dirlo con chiarezza, senza rabbia ma senza ambiguità:
hanno sbagliato.

Non hanno sbagliato perché quella cucina non abbia dignità.
Non hanno sbagliato perché conoscere altre culture sia un errore.
Hanno sbagliato per il luogo, per il contesto e per il messaggio.

Una mensa scolastica pubblica non è un ristorante etnico.
Non è un evento culturale.
Non è un palcoscenico per dichiarazioni simboliche o ideologiche.

È uno spazio educativo.

E l’educazione segue una regola semplice, antica, quasi ovvia:
prima le radici, poi l’apertura.

Questo non è un episodio lontano, da commentare come se riguardasse “altrove”.
È qualcosa che riguarda le nostre scuole, le nostre mense, i nostri figli.

Perché oggi accade in Toscana,
ma domani può accadere in qualunque altra regione,
in qualunque comune,
in qualunque mensa scolastica.

Ed è proprio per questo che non si tratta di una polemica contro qualcuno,
ma di una riflessione che riguarda tutti noi.

Quando una scelta simbolica entra nella mensa,
entra nel piatto quotidiano,
entra nella normalità dei bambini.

E ciò che diventa normale, a scuola,
diventa cultura.

In un Paese dove molti ragazzi non conoscono più:

  • i piatti del proprio territorio
  • la stagionalità degli alimenti
  • il legame tra cibo, storia e comunità

trasformare il pranzo scolastico in un messaggio rivolto agli adulti
non è inclusione.
È una scorciatoia ideologica.

L’inclusione vera non sostituisce.
Aggiunge.

Prima si insegna chi siamo,
poi si racconta chi sono gli altri.

Qui, invece, si è fatto il contrario:
si è usato il cibo dei bambini per dimostrare una posizione.

E questo è un errore educativo.

Perché il cibo, soprattutto a scuola, non è mai neutro.
Nutre il corpo, ma costruisce memoria.
Forma abitudini, rispetto, appartenenza.

Se davvero si vuole educare all’incontro tra culture,
si comincia dal pane quotidiano,
dall’olio, dalla pasta,
dai piatti che raccontano una terra prima ancora di un’idea.

Solo chi sa da dove viene
può incontrare l’altro senza paura e senza confusione.

Qui non si tratta di essere chiusi o aperti.
Si tratta di essere responsabili.

La cucina italiana non è solo un patrimonio da celebrare all’estero.
È una responsabilità educativa da trasmettere ai nostri figli.

E quando la scuola dimentica questo ruolo,
quando una mensa diventa un messaggio,
quando il piatto dei bambini viene usato per parlare agli adulti,
sì:

ha sbagliato.