🎄 Il presepe cambia nomi, non dinamiche

C’è un momento dell’anno in cui tutto dovrebbe fermarsi.
Il presepe, appunto.
La scena immobile per definizione: la stalla, la paglia, il silenzio, un bambino che non parla ma dice tutto.

E invece no.

Anche quest’anno il presepe è diventato un talk show.

Il bue Trump occupa metà della scena. Non scalda la stalla: la colonizza.
Muggisce slogan invece di fiato caldo e, come sempre, parla più di sé che del mondo intorno.
Il miracolo, per lui, è restare al centro.

Accanto, l’asino Putin.
Non raglia. Non gesticola.
Guarda fisso, immobile, con quell’aria di chi sa che il tempo lavora per lui.
Nel presepe contemporaneo il silenzio non è pace: è strategia.

Arriva poi il Re Magio Giorgetti, solo ma carico di doni.
Non oro, incenso e mirra:
conti pubblici, cautela, sacrifici.
Non segue la stella, segue i numeri.
È l’unico che sa che la magia, in politica, costa sempre qualcosa.

Dall’alto scendono gli angeli Armani e Vanoni.
Eleganti, rassicuranti, intonati.
Cantano la pace con stile impeccabile, perché anche la pace, oggi, deve essere presentabile.
Il problema è che sotto nessuno ascolta più il canto: tutti guardano il proprio riflesso.

Intorno alla stalla, i pastori Schlein e Conte cercano di tenere insieme il gregge.
Le pecore però sono stanche, confuse, distratte.
Alcune guardano la stella, altre il telefono, altre ancora seguono chi urla di più.
Radunare è più difficile che promettere.

E al centro?

Finalmente c’è il Bambinello.
Piccolo, luminoso, fuori scala rispetto a tutto il resto.
Non parla. Non decide. Non governa.
E proprio per questo è l’unico davvero rivoluzionario.

Nessuno lo guarda davvero.
Perché nel presepe contemporaneo tutti credono di essere al centro.
E il miracolo, come sempre, passa inosservato.


✍️ Il Sognatore Lento