Sei capitoli di satira e un finale al vetriolo

Il caso Brunetta e l’inizio dell’apocalisse del buon senso
In Italia, quando una riforma nasIn Italia, quando una riforma nasce con l’intento di “premiare il merito”, scatta sempre lo stesso sospetto:
qualcuno troverà il modo di premiare soprattutto sé stesso.
Il “caso Brunetta” ne è la dimostrazione più elegante e paradossale.
Il decreto nasceva per distinguere i bravi dai meno bravi, ma è diventato la più efficiente polizza di protezione per gli stipendi dirigenziali.
Altro che meritocrazia: qui si timbra il marchio “eccellente” senza nemmeno aprire la scatola.
Il Paese dove il merito è un’opinione
Sulla carta, l’idea era rivoluzionaria:
valutare in modo serio le performance, premiare chi raggiunge risultati.
La realtà, invece, ha partorito un meccanismo geniale:
tutti partono dal gradino più basso, e in cinque minuti sono tutti in cima.
Come ci si arriva?
Con tre ingredienti semplici:
- valutazioni fatte “in famiglia”,
- criteri elastici come un elastico consumato,
- la regola non scritta: non bocciare nessuno, per evitare tensioni.
Risultato:
il 99% dei dirigenti risulta eccellente.
Neanche nei collegi più permissivi esistono percentuali simili.
La riforma che doveva punire i fannulloni… e invece ha promosso tutti
Il decreto voleva portare rigore.
Invece ha creato un gigantesco abbraccio collettivo, in cui il merito è diventato un concetto inclusivo: tutti dentro, nessuno escluso.
E così sono arrivati:
- aumenti giustificati da valutazioni perfette,
- premi di risultato con risultati invisibili,
- indennità “di rendimento” che rendono più al portafoglio che ai cittadini.
Una meritocrazia senza merito, ma con molta fantasia.
La magia dell’autovalutazione
La parte più brillante del sistema è l’autovalutazione travestita da “controllo”.
Funziona così:
io valuto te, tu valuti me, e la media diventa eccellente.
È lo scambio di compiti in classe reso procedura ufficiale.
Nel mondo reale sarebbe una barzelletta.
Nel pubblico, è governance.
Così, la performance rimane sui documenti,
ma gli aumenti diventano realtà tangibile.
Il decreto come scialuppa di salvataggio
La riforma nata per “punire i fannulloni” si è trasformata in una barca di salvataggio per chiunque occupi un ruolo dirigenziale.
Hai un ufficio che non funziona?
→ valutazione eccellente.
Servizi al collasso?
→ valutazione eccellente.
Siti che cadono come foglie d’autunno?
→ eccellente con lode.
Non sia mai che la mancanza di risultati comprometta l’atmosfera motivazionale della struttura.
L’apocalisse del buon senso
Il paradosso finale è semplice:
se tutti sono eccellenti, l’eccellenza non esiste.
E se l’eccellenza non esiste, gli aumenti diventano un automatismo,
una tradizione consolidata, più antica di molte leggi dello Stato.
Il decreto Brunetta, più che una riforma, ha inaugurato:
- l’era dell’eccellenza permanente,
- l’aumento ciclico garantito,
- la performance immaginaria come base valutativa.
Un Paese dove il merito è un titolo di giornale,
mentre la realtà è un esercizio di autocelebrazione retribuita.
Conclusione: il capolavoro dell’unità nazionale
Se un merito la riforma ce l’ha, è questo:
ha unito l’Italia come poche altre cose.
Quando si parla di aumenti, infatti, c’è una certezza assoluta:
siamo tutti bravissimi.
Se vuoi, preparo subito la versione definitiva dell’anteprima per Facebook, oppure passo direttamente al Capitolo 3 – ARERA: l’aumento colpisce ancora?

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