🪑Capitolo 2 – L’Italia degli Aumenti Invisibili

Sei capitoli di satira e un finale al vetriolo

Il caso Brunetta e l’inizio dell’apocalisse del buon senso

In Italia, quando una riforma nasIn Italia, quando una riforma nasce con l’intento di “premiare il merito”, scatta sempre lo stesso sospetto:
qualcuno troverà il modo di premiare soprattutto sé stesso.

Il “caso Brunetta” ne è la dimostrazione più elegante e paradossale.
Il decreto nasceva per distinguere i bravi dai meno bravi, ma è diventato la più efficiente polizza di protezione per gli stipendi dirigenziali.
Altro che meritocrazia: qui si timbra il marchio “eccellente” senza nemmeno aprire la scatola.


Il Paese dove il merito è un’opinione

Sulla carta, l’idea era rivoluzionaria:
valutare in modo serio le performance, premiare chi raggiunge risultati.

La realtà, invece, ha partorito un meccanismo geniale:
tutti partono dal gradino più basso, e in cinque minuti sono tutti in cima.

Come ci si arriva?
Con tre ingredienti semplici:

  • valutazioni fatte “in famiglia”,
  • criteri elastici come un elastico consumato,
  • la regola non scritta: non bocciare nessuno, per evitare tensioni.

Risultato:
il 99% dei dirigenti risulta eccellente.

Neanche nei collegi più permissivi esistono percentuali simili.


La riforma che doveva punire i fannulloni… e invece ha promosso tutti

Il decreto voleva portare rigore.
Invece ha creato un gigantesco abbraccio collettivo, in cui il merito è diventato un concetto inclusivo: tutti dentro, nessuno escluso.

E così sono arrivati:

  • aumenti giustificati da valutazioni perfette,
  • premi di risultato con risultati invisibili,
  • indennità “di rendimento” che rendono più al portafoglio che ai cittadini.

Una meritocrazia senza merito, ma con molta fantasia.


La magia dell’autovalutazione

La parte più brillante del sistema è l’autovalutazione travestita da “controllo”.

Funziona così:
io valuto te, tu valuti me, e la media diventa eccellente.

È lo scambio di compiti in classe reso procedura ufficiale.
Nel mondo reale sarebbe una barzelletta.
Nel pubblico, è governance.

Così, la performance rimane sui documenti,
ma gli aumenti diventano realtà tangibile.


Il decreto come scialuppa di salvataggio

La riforma nata per “punire i fannulloni” si è trasformata in una barca di salvataggio per chiunque occupi un ruolo dirigenziale.

Hai un ufficio che non funziona?
→ valutazione eccellente.

Servizi al collasso?
→ valutazione eccellente.

Siti che cadono come foglie d’autunno?
→ eccellente con lode.

Non sia mai che la mancanza di risultati comprometta l’atmosfera motivazionale della struttura.


L’apocalisse del buon senso

Il paradosso finale è semplice:
se tutti sono eccellenti, l’eccellenza non esiste.

E se l’eccellenza non esiste, gli aumenti diventano un automatismo,
una tradizione consolidata, più antica di molte leggi dello Stato.

Il decreto Brunetta, più che una riforma, ha inaugurato:

  • l’era dell’eccellenza permanente,
  • l’aumento ciclico garantito,
  • la performance immaginaria come base valutativa.

Un Paese dove il merito è un titolo di giornale,
mentre la realtà è un esercizio di autocelebrazione retribuita.


Conclusione: il capolavoro dell’unità nazionale

Se un merito la riforma ce l’ha, è questo:
ha unito l’Italia come poche altre cose.

Quando si parla di aumenti, infatti, c’è una certezza assoluta:

siamo tutti bravissimi.


Se vuoi, preparo subito la versione definitiva dell’anteprima per Facebook, oppure passo direttamente al Capitolo 3 – ARERA: l’aumento colpisce ancora?