Il ’68 di Montenerodomo: quando la rivoluzione entrò in una stanza “Il Club”

Premessa

Questi racconti nascono da un luogo reale.
Il CLUB di Montenerodomo.

Questo è il primo di una serie di racconti dedicati a quel luogo e al cambiamento silenzioso che seppe generare nel tempo, nella vita quotidiana del paese.

Non sono storie inventate, né un’operazione nostalgica.
Sono frammenti di memoria e di vita vissuta.

Il CLUB non fu un simbolo politico, né un manifesto.
Fu semplicemente uno spazio.

E proprio per questo, per molti, rappresentò una piccola rivoluzione.

1 Racconto -Il CLUB –

Quando si parla del 1968, il pensiero corre subito alle grandi città:
Roma, Milano, Torino, Bologna.
Le università occupate, le assemblee permanenti, i cortei, gli slogan gridati, le immagini in bianco e nero che hanno riempito i libri di storia.

Ma il ’68 non fu un evento unico e uguale per tutti.
Fu piuttosto un clima, un’aria che arrivò ovunque, anche dove non c’erano atenei né piazze da occupare.

Arrivò anche a Montenerodomo.
E qui prese una forma diversa, più piccola, più discreta.
Ma non meno profonda.

Un paese che cambiava lentamente

Alla fine degli anni Sessanta Montenerodomo era ancora un paese regolato da ritmi antichi.
La famiglia, la Chiesa, il lavoro, il controllo sociale: tutto era vicino, visibile, condiviso.
I giovani crescevano sotto lo sguardo costante degli adulti.
Ogni gesto aveva un peso, ogni comportamento veniva osservato, commentato, giudicato.

I momenti di socialità erano pochi e rigidamente separati.
I ragazzi da una parte, le ragazze dall’altra.
Gli incontri avvenivano sotto sorveglianza, spesso in occasioni precise: feste comandate, ricorrenze religiose, eventi pubblici.

In questo contesto, la semplice idea di uno spazio autonomo per i giovani era già, di per sé, una novità.

La nascita del “CLUB”

Il “CLUB” nacque così.
Niente proclami, niente ideologia dichiarata.
Solo un luogo.

Un locale dove i giovani potessero entrare liberamente, sedersi, parlare, ascoltare musica.
Soprattutto: stare insieme, ragazzi e ragazze nello stesso spazio, senza un pretesto ufficiale.

Oggi può sembrare poca cosa.
Allora non lo era affatto.

Quella stanza rompeva una consuetudine secolare.
Metteva in discussione, senza dirlo, la separazione dei ruoli, il controllo sui corpi, il tempo concesso alla giovinezza.

Per questo, all’inizio, scoppiò lo scandalo.

Lo scandalo silenzioso

Le prime reazioni furono di diffidenza e paura.
Non ci furono scontri aperti, ma divieti domestici.
Soprattutto per le ragazze.

A molte venne proibito di frequentare il CLUB.
Non perché fosse successo qualcosa, ma perché poteva succedere.
Il timore non era il fatto, ma la possibilità.

Le solite frasi circolavano sottovoce:
“Non è un posto adatto.”
“Che bisogno c’è?”
“Si è sempre fatto diversamente.”

Il CLUB diventò così, suo malgrado, un banco di prova.
Non per la morale, ma per il cambiamento.

Il tempo come alleato

Poi accadde ciò che spesso accade nei paesi:
il tempo cominciò a lavorare.

Nulla di grave succedeva.
Nessuna rovina morale.
Solo giovani che parlavano, ridevano, ascoltavano musica.

Poco alla volta, le resistenze si allentarono.
I divieti caddero.
Le presenze aumentarono.

Il CLUB smise di essere un’eccezione sospetta e diventò un’abitudine accettata.
Non perché qualcuno avesse vinto una battaglia, ma perché la normalità aveva dimostrato di saper reggere.

Un’eredità che dura

Il CLUB restò attivo per molti anni.
Accompagnò generazioni diverse.
Vide crescere ragazzi e ragazze che, grazie a quello spazio, impararono qualcosa di semplice ma fondamentale: stare insieme senza paura.

Non produsse manifesti, non lasciò slogan.
Ma lasciò un segno profondo nella mentalità del paese.

Perché dopo il CLUB, nulla fu più esattamente come prima.
L’idea stessa di giovinezza cambiò.
Cambiarono i rapporti, i linguaggi, le aspettative.

Il ’68 dei piccoli paesi

Il ’68 di Montenerodomo non entrò nei libri di storia.
Ma entrò nella vita quotidiana.

Fu una rivoluzione senza rumore, fatta di sedie spostate, di musica condivisa, di sguardi che finalmente potevano incrociarsi senza scandalo.

E forse proprio per questo fu così efficace.

Perché a volte, nei piccoli paesi,
la vera rivoluzione non è urlare in piazza,
ma aprire una porta
e lasciare che i giovani entrino insieme.


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