
Siamo in pieno periodo natalizio e questo non è un dettaglio marginale:il Natale non è solo una festa, è un linguaggio condiviso, fatto di simboli riconoscibili, soprattutto nello spazio pubblico. In una piazza come Piazza Maggiore, a dicembre, la gente non cerca neutralità.
Cerca riconoscimento, calore, memoria.
Il presepe — che piaccia o no — parla una lingua immediata:
- famiglia
- nascita
- fragilità
- speranza
- comunità
Non è solo religione: è educazione sentimentale collettiva.
Quell’installazione, invece:
- è astratta
- non racconta una storia
- non dialoga con il tempo che stiamo vivendo
- non offre un appiglio emotivo condiviso
👉 Il problema non è l’arte contemporanea.
👉 Il problema è il fuori tempo.
Se quei “sassi” fossero stati collocati:
- in primavera
- durante un festival d’arte
- in un contesto dichiaratamente sperimentale
…avrebbero potuto generare curiosità, non fastidio.
Ma a Natale, nello spazio simbolico più importante della città, diventano inevitabilmente una sottrazione:
- sottraggono racconto
- sottraggono identità
- sottraggono senso del luogo
E allora sì, anche senza volerlo, finiscono per sembrare una contrapposizione:
non dichiarata, ma percepita.
Non è uno scontro ideologico.
È una domanda semplice che la gente si fa guardandoli:
“Ma cosa c’entra, adesso?”
E quando l’arte pubblica costringe a fare questa domanda nel momento sbagliato, il problema non è chi guarda.
È chi ha scelto quando e dove.

Lascia un commento