Natale sotto giudizio

Ci sono Natali che arrivano con le luci.
E Natali che arrivano con il silenzio.

Questo è uno di quelli.

Un Natale in cui una famiglia è stata spezzata non dal destino, non dalla povertà, non dalla guerra —
ma da una decisione presa dietro una scrivania, in nome di una parola che dovrebbe proteggere: giustizia.

Nel Vangelo, Gesù si arrabbia raramente.
Non con i peccatori.
Non con i traditori.
Non con chi sbaglia per debolezza.

Si arrabbia quando vengono toccati i bambini.

«Chi scandalizzerà uno di questi piccoli, sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare.»
(Mc 9,42)

Non è una metafora gentile.
È una condanna netta.

Perché per il Vangelo il bambino non è un fascicolo,
non è una misura cautelare,
non è una variabile da spostare.

È sacro.

E allora oggi, davanti a bambini tolti ai genitori senza una verità limpida, documentata, indiscutibile, una domanda non può essere evitata:

👉 Chi sta davvero “scandalizzando i piccoli”?

Alla famiglia colpita va un augurio che non ha bisogno di retorica:
che questo Natale non spenga ciò che nessuna sentenza può cancellare —
l’amore, il legame, la dignità.

Che possiate sentire, anche nella notte più fredda,
che non siete soli
e che la vostra umanità vale più di qualsiasi timbro.

Alla giustizia, invece, non auguriamo serenità.
Non auguriamo pace.
E nemmeno silenzio.

Le auguriamo ciò che il Vangelo riserva a chi esercita potere senza misericordia:
di essere guardata negli occhi,
di essere interrogata,
di dover rispondere.

Perché quando la legge dimentica l’uomo,
non è più giustizia.
È solo forza vestita di parole.

E davanti a un bambino,
questo non è un errore.

È una colpa.