La sinistra e Mohammad Mahmoud: quando la causa diventa un alibi

Come il bisogno di sentirsi dalla parte giusta ha sostituito l’analisi

C’è un momento, nella vita politica di un Paese, in cui la solidarietà smette di essere pensiero e diventa riflesso.
L’Italia quel momento lo vive da anni. E il caso di Mohammad Mahmoud Ahmad Hannoun ne è solo l’ennesima dimostrazione.

Non è un articolo “contro” qualcuno.
È un articolo sul perché.


Il bisogno di simboli semplici

Hannoun è stato accolto e celebrato in piazze, eventi, dibattiti come voce della Palestina.
Non come individuo con una storia, delle responsabilità, un linguaggio da valutare.
Ma come simbolo umano.

E qui sta il primo errore.

Una parte della sinistra italiana ha smesso da tempo di praticare l’analisi.
Oggi ricerca simboli, perché i simboli:

  • sono immediati
  • non pongono domande
  • permettono di schierarsi senza pensare

Il simbolo funziona finché resta bidimensionale.
Quando parla davvero, quando mostra contraddizioni, diventa scomodo.


Antagonismo automatico: se il potere è “là”, il bene è “qui”

Il secondo meccanismo è ancora più pericoloso.

In molti ambienti:

  • Israele viene letto esclusivamente come “potere”
  • quindi chiunque lo contesti diventa automaticamente “resistenza”

È una scorciatoia ideologica.
Non valuta contenuti, toni, parole, responsabilità.
Divide il mondo in:

oppressi buoni / potenti cattivi

In questo schema Hannoun era perfetto.
Metterlo in discussione avrebbe significato mettere in discussione lo schema stesso.

E questo, per una sinistra fragile, è impensabile.


Il vuoto lasciato dalla politica sociale

C’è poi un nodo che nessuno vuole affrontare.

Una parte consistente della sinistra italiana — compresa l’area del Movimento 5 Stelle — ha progressivamente perso:

  • il rapporto con il lavoro
  • la capacità di leggere le periferie
  • il contatto con il disagio reale

Al loro posto sono arrivate cause globali astratte.
Non sbagliate in sé, ma usate come sostituti identitari.

La Palestina, in questo quadro, non è più una questione geopolitica complessa.
Diventa un certificato morale.


La sacralizzazione della vittima

Altro errore grave: la vittima resa intoccabile.

Se appartieni a un popolo percepito come oppresso:

  • non puoi essere criticato
  • non puoi essere contraddetto
  • non puoi essere responsabilizzato

È un atteggiamento che sembra solidarietà, ma è paternalismo politico.
Ti tolgo la dignità di cittadino adulto per difendere la mia narrazione.

Così facendo, però, non si difende la causa palestinese.
La si infantilizza.
E la si espone a figure che la danneggiano.


Dalla santificazione al silenzio

Quando emergono toni inaccettabili, ambiguità, derive verbali o ideologiche:

  • chi prima applaudiva tace
  • chi invitava smette di rispondere
  • chi esaltava rimuove

È sempre lo stesso copione:

  1. elevazione morale
  2. rimozione imbarazzata

Mai autocritica.
Mai una frase semplice: “Abbiamo sbagliato”.


Il problema non è Hannoun

Sia chiaro: il problema non è Hannoun.
Il problema è chi lo ha usato.

Una sinistra che:

  • confonde solidarietà con adesione acritica
  • ha paura della complessità
  • scambia l’emotività per politica

finirà sempre per incastrarsi nei propri simboli.

E ogni volta sarà sorpresa.
Come se non fosse già successo decine di volte.


Conclusione: tornare a pensare è un atto politico

Difendere i diritti del popolo palestinese è legittimo.
Ma farlo senza spegnere il cervello è un dovere.

La politica che rinuncia al pensiero critico per sentirsi “giusta”:

  • non cambia il mondo
  • non aiuta le vittime
  • non costruisce pace

Costruisce solo nuovi alibi morali.

E prima o poi, quegli alibi presentano il conto.


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