Storia romanzata dell’emigrazione… ma non troppo

Dopo la prima neve arrivò la prima busta
Quando il lavoro smette di essere prova e diventa permanenza
La neve era arrivata per prima, senza farsi annunciare.
Non aveva coperto tutto, non aveva bloccato nulla. Aveva solo cambiato il ritmo delle giornate, come un avviso dato a bassa voce: adesso si fa sul serio.
Poi, qualche giorno dopo, arrivò anche la busta.
Non nello stesso modo.
Non con la stessa delicatezza.
A fine giornata li chiamarono a passare in ufficio, uno alla volta. Il cantiere si stava svuotando, gli uomini uscivano in silenzio, con il vapore che saliva dalle giacche umide e il freddo che si infilava sotto i colli. L’ufficio era una stanza spoglia, illuminata da una lampadina gialla. Un tavolo, una sedia, una pila di buste già pronte.
Entravi.
Prendevi la tua.
Uscivi.
Nessuno diceva niente. Non c’era bisogno di spiegare. La busta non era un premio, né un ringraziamento. Era solo la conferma che avevi fatto le ore, che avevi retto, che non eri venuto meno.
Quando toccò ad Antonio fece esattamente quello che avevano fatto gli altri. Allungò la mano, prese la busta e tornò fuori. La infilò nella tasca interna della giacca senza guardarla. In quel momento non aveva ancora un peso preciso. Era solo un oggetto in più da portarsi addosso.
A casa la aprì sul tavolo, dopo cena.
Dentro c’erano le banconote piegate e un foglio con le ore segnate. Le contò una volta sola. Non erano molte. Ma bastavano a dare un senso alle giornate passate sotto terra, al freddo che entrava nelle ossa, alle mani che bruciavano la sera.
Lo zio diede un’occhiata rapida.
«È giusta» disse.
Nient’altro.
Quelle due parole bastavano.
La prima busta paga non faceva diventare ricchi. Non cambiava la vita. Ma

cambiava la posizione. Non eri più solo uno che lavorava. Eri uno che veniva contato. Uno che aveva un posto, anche se piccolo, anche se provvisorio.
Antonio rimise i soldi nella busta con attenzione. Non per paura di perderli, ma perché sentiva che andavano trattati con rispetto. Erano il risultato di qualcosa che non si poteva fingere.
Quella sera, quando si sedette a scrivere, non infilò tutta la paga nella lettera.
Mise dentro una piccola parte.
Quella che poteva rischiare.
Il resto lo piegò con cura e lo nascose sotto il materasso. Non era egoismo. Era necessità. Lo zio glielo aveva insegnato senza dirlo: prima bisogna restare in piedi. Solo dopo si può dare tutto.
Nella lettera non scrisse molto.
Scrisse che stava bene.
Che il lavoro era duro, ma reggeva.
Che mandava qualcosa, non molto, ma sicuro.
Non scrisse del freddo che adesso non mollava più.
Non scrisse della stanchezza che non spariva nemmeno dormendo.
Non scrisse della paura sottile che, ogni tanto, tornava a bussare.
Scrisse solo quello che serviva.
Quando richiuse la busta, ebbe la sensazione netta di aver fatto qualcosa di giusto. Non grande. Giusto. Come quando metti il piede nel punto stabile prima di scendere più a fondo.
Il giorno dopo il lavoro non cambiò.
La neve era più compatta, la strada più dura sotto gli scarponi. Il cantiere era lo stesso. La montagna non faceva differenze tra chi aveva già preso la paga e chi no.
Ma Antonio sì.
Ogni colpo di martello aveva lo stesso peso di prima, eppure qualcosa era diverso. Non lavorava meglio. Lavorava con un senso. Sapeva che quelle ore non si perdevano nel nulla. Diventavano qualcosa che poteva essere mandato indietro, trasformato, restituito.
Capì che la busta paga non arrivava alla fine del lavoro.
Arrivava dentro.
Ti diceva che avevi resistito abbastanza.
Che eri rimasto.
Che avevi superato il primo confine vero: quello tra chi prova e chi resta.
La sera, a tavola, mangiarono un po’ meglio. Non per festeggiare, ma perché si poteva. Lo zio versò il vino e disse, quasi tra sé:
«Adesso cominci a capire perché si rimane.»
Antonio non rispose. Non c’era niente da aggiungere.
Quella notte dormì meglio. Non perché fosse meno stanco, ma perché il corpo e la testa finalmente andavano nella stessa direzione. Pensò alla lettera che avrebbe preso la strada di casa. Pensò a sua madre che l’avrebbe aperta piano. Pensò a suo padre che non avrebbe detto nulla, ma avrebbe capito tutto.
La prima neve aveva cambiato il ritmo dei giorni.
La prima busta paga aveva cambiato il peso dei giorni.
Capì che l’emigrazione non era solo partire.
Era restare abbastanza a lungo da poter mandare indietro qualcosa, senza sparire.
Fuori, la montagna taceva.
Dentro, per la prima volta, Antonio sentì di avere un posto.
Non era casa.
Ma non era più solo passaggio.

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