Prefazione – Montenerodomo, un piccolo paese con una grande storia

Ci sono paesi che non compaiono mai nelle guide patinate, borghi che non hanno le piazze gremite di turisti né i palazzi nobiliari da fotografare. Eppure custodiscono una forza diversa, silenziosa, fatta di memoria, di radici profonde, di paesaggi che si aprono come libri antichi.
Montenerodomo è uno di questi luoghi.

Arroccato a 1165 metri sul versante orientale della Maiella, al confine tra Abruzzo e Molise, Montenerodomo è un borgo piccolo, piccolissimo: poche centinaia di abitanti, case che si stringono una accanto all’altra per resistere al vento e alla neve, vicoli che raccontano partenze e ritorni. Non è un paese che si visita per le “cartoline” da vendere, ma per quello che ti lascia dentro: la sensazione di trovarsi in un punto sospeso tra cielo e terra, tra storia millenaria e fragilità del presente.

Chi arriva fin quassù lo capisce subito. Da un lato, lo sguardo corre verso la Maiella, montagna madre che domina la scena con la sua imponenza. Dall’altro, lo sguardo scivola verso la valle del Sangro, i Monti Pizzi, fino all’Adriatico nelle giornate più limpide. È un paesaggio che da solo basterebbe a spiegare perché, secoli fa, un popolo fiero come i Carricini

— una delle tribù sannite — avesse scelto proprio questa terra per costruire città, difese, sogni di indipendenza.

Montenerodomo ha una particolarità: la storia qui è passata due volte. La prima con l’antica città di Juvanum,

fondata dai Sanniti e trasformata poi dai Romani in un municipio fiorente. Resti di basiliche, colonne e un teatro testimoniano ancora oggi quella grandezza. La seconda con il Novecento, quando la gente del borgo ha dovuto affrontare la miseria, l’emigrazione, le guerre, fino al terremoto del 1984 che ha ferito molte case e molte famiglie. In entrambi i casi, la comunità ha resistito.

La storia di Montenerodomo, quindi, non è la storia di un “borgo da favola”, ma quella di un paese reale. Un luogo in cui il tempo non si è fermato per diventare vetrina turistica, ma ha continuato a scorrere portando con sé cicatrici, partenze, ritorni, feste patronali e silenzi. Ed è proprio questa autenticità a renderlo speciale.


Un paese di memoria e radici

Montenerodomo è legato anche a una delle figure più importanti della cultura italiana: Benedetto Croce. Filosofo, storico e politico, Croce nacque a Pescasseroli ma aveva radici familiari proprio qui. I genitori erano originari di Montenerodomo, e il borgo fa parte del progetto del

Parco Letterario Crociano. È suggestivo pensare che un pensatore che ha dato voce all’Italia liberale e antifascista avesse le radici in un piccolo paese di montagna: una dimostrazione che dai luoghi più nascosti possono germogliare idee capaci di cambiare il mondo.

Ma la memoria non è fatta solo di filosofia. Durante la Seconda guerra

mondiale, Montenerodomo pagò un prezzo altissimo. Situato in una zona strategica, fu teatro di scontri e rappresaglie. La popolazione subì violenze, distruzioni, deportazioni. Per il coraggio e il sacrificio dimostrati, il paese fu insignito della Croce di guerra al valor militare. Un riconoscimento che non si trova sulle guide turistiche, ma che vive ancora nelle storie degli anziani e nelle cerimonie civili.


Il filo dell’emigrazione

Come tanti paesi d’Abruzzo, anche Montenerodomo ha conosciuto il fenomeno dell’emigrazione. Prima verso le Americhe, poi verso l’Europa del dopoguerra: Germania, Belgio, Svizzera, Canada, Australia. Famiglie intere partirono con valigie di cartone e poche speranze, lasciando dietro case, campi, affetti.
Ma a ogni estate, soprattutto ad agosto, il borgo torna a riempirsi. Le feste di San Fedele Patrono, non sono solo momenti religiosi: sono riti collettivi che segnano il ritorno degli emigrati, il ritrovarsi delle famiglie, il riaffiorare di un senso di comunità che nemmeno la distanza ha potuto cancellare.

È un fenomeno che spiega bene la natura di Montenerodomo: paese vuoto in inverno, ma pieno di vita in estate. Paese povero di numeri, ma ricco di identità. Paese che sembra scomparire, ma che ogni anno dimostra di essere ancora lì, radicato.


I prodotti della montagna

L’identità di Montenerodomo passa anche attraverso la terra. La patata di montagna del Medio Sangro, riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), è forse il simbolo più forte: un tubero semplice, ma resistente come la gente di queste alture.
Accanto a essa, piatti contadini, zuppe di legumi, ferratelle con ricotta e miele, liquori artigianali. Una cucina che non ha bisogno di inventare “gourmet”, perché racconta già di per sé secoli di vita dura e sincera.


Un futuro possibile

Oggi Montenerodomo conta poche centinaia di abitanti. Lo spopolamento è un dato concreto, come in tanti altri borghi d’Abruzzo e del Molise. Ma non mancano i tentativi di rilancio.
Con i vicini Civitaluparella e Fallo, il paese è coinvolto nel progetto Borghi Carricini, finanziato dal PNRR: un piano per creare un museo a cielo aperto, sviluppare turismo lento ed esperienziale, rendere il borgo più accessibile e attrattivo. Non è una sfida semplice: servono servizi, investimenti, continuità. Ma rappresenta una direzione chiara, una volontà di non rassegnarsi.


Un viaggio da intraprendere

Questa prefazione è solo l’inizio.
Nei prossimi capitoli proveremo a raccontare i tanti volti che Montenerodomo custodisce: la sua storia antica, le tradizioni di montagna, le memorie della gente che ha dovuto partire e quelle di chi è rimasto, i paesaggi che ancora oggi parlano da soli.

Non sarà un percorso già scritto, ma un viaggio che si costruirà lungo la strada, come quando si cammina tra i vicoli di un borgo e dietro l’angolo si apre una sorpresa inattesa.

Alla fine, ciò che conterà non sarà la sequenza dei capitoli, ma il mosaico complessivo: un intreccio di memoria, identità e futuro che fa di Montenerodomo un piccolo paese con una grande storia.

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