Flottiglia a costo zero – Onorevoli in mare aperto con il portafoglio asciutto

Ci sono missioni che si compiono con coraggio, altre con spirito simbolico. E poi ci sono quelle che si fanno con la valigia pronta, la dichiarazione in tasca… ma il portafoglio vuoto.

Alcuni parlamentari italiani hanno scelto di imbarcarsi nella Global Sumud Flotilla, la spedizione diretta verso Gaza che ha catturato l’attenzione dei media internazionali. Sono saliti a bordo per testimoniare vicinanza alla popolazione palestinese, per denunciare l’assedio, per richiamare l’attenzione di governi e opinioni pubbliche.

Fin qui nulla di strano. La politica, si sa, cerca da sempre luoghi simbolici per lanciare messaggi forti. Il dettaglio che stona, però, è un altro: nessuno ha dichiarato un solo euro di contributo personale per sostenere questa missione.


La solidarietà “all inclusive”

A sentirli parlare, sembrerebbe che abbiano messo in gioco la propria vita. E in parte è vero: una flottiglia che prova a raggiungere Gaza non è una crociera di piacere. I rischi ci sono, gli imprevisti sono dietro l’angolo, e il Mediterraneo non perdona chi lo prende alla leggera.

Ma resta un dettaglio: mentre il cittadino comune, quando vuole sostenere una causa, versa il suo obolo, mette mano al portafoglio, partecipa a una raccolta fondi, qui siamo di fronte a una solidarietà a costo zero. Nessun bonifico, nessuna quota simbolica, nessuna rinuncia al proprio stipendio parlamentare.

Eppure non sarebbe stato difficile: bastava una ricevuta, un comunicato, un gesto che trasformasse la presenza in atto concreto. Invece no. Ci si accontenta del simbolo, del clamore, delle foto scattate prima dell’imbarco.


Il paradosso della politica moderna

È questo il paradosso della politica contemporanea: il gesto vale più del sacrificio. L’immagine del parlamentare in mare aperto, col vento tra i capelli e lo sguardo serio verso l’orizzonte, genera più titoli e più consenso di qualsiasi bonifico fatto in silenzio.

Eppure, in un Paese dove i cittadini devono autofinanziarsi perfino i libri di scuola dei figli, dove ogni raccolta fondi è fatta di monetine, lotterie di quartiere e scontrini battuti per sperare in un rimborso, l’idea che i rappresentanti partecipino a iniziative simili senza tirare fuori un euro lascia l’amaro in bocca.


Il mare sì, il conto no

La loro presenza fisica è indiscutibile: salgono a bordo, affrontano onde e tensioni diplomatiche, si espongono alle critiche. Questo va riconosciuto. Ma quando si parla di costi, di carburante, di logistica, di forniture, di eventuali spese legali in caso di fermo, il silenzio è totale.

E allora la domanda nasce spontanea: quanto costa questa gita umanitaria e chi paga davvero il conto?

Perché se non sono i singoli a finanziare, significa che qualcun altro lo fa: associazioni, reti solidali, cittadini che magari non appariranno mai in tv, ma che hanno versato i loro soldi senza pretendere visibilità.


La valuta della visibilità

In fondo, la vera moneta che qui si muove è un’altra: la visibilità politica. Non si deposita in banca, non si converte in euro, ma vale moltissimo perché garantisce risonanza, copertura mediatica, ritorno di immagine.

Un parlamentare che devolve parte del proprio stipendio a Gaza difficilmente farebbe notizia. Un parlamentare che si fa fotografare a bordo di una barca in rotta verso Gaza, invece, diventa un caso politico. E questo, nel linguaggio spietato della politica, significa guadagno.


La solidarietà col portafoglio chiuso

Eppure sarebbe bastato poco per cambiare la percezione:

  • un versamento documentato, anche minimo, che mostrasse partecipazione personale;
  • la rinuncia a un mese di indennità da devolvere ad aiuti concreti;
  • una campagna di raccolta fondi lanciata dagli stessi parlamentari, con una donazione iniziale firmata di tasca propria.

Qualsiasi gesto avrebbe dato spessore all’iniziativa. Avrebbe mostrato che la solidarietà non è solo gesto simbolico, ma sacrificio reale. Invece nulla. Il mare lo affrontano loro, ma il conto resta a riva.


I cittadini e la misura del sacrificio

Il cittadino italiano medio misura la solidarietà in modo diverso.

  • Chi ha un figlio malato, partecipa a maratone di raccolta fondi vendendo torte e biscotti.
  • Chi vuole aiutare un’associazione, devolve il cinque per mille, rinunciando a qualche euro di rimborso fiscale.
  • Chi sostiene un amico in difficoltà, mette mano al salvadanaio, senza pretendere foto sui giornali.

Per questo la flottiglia a costo zero appare stonata: come se ci fosse una corsia preferenziale per la politica, dove basta “esserci” per poter dire di aver contribuito.


Il rischio dell’ipocrisia

E qui sta il punto più delicato: il confine tra solidarietà e ipocrisia è sottile. Quando manca il contributo personale, quando la testimonianza è solo immagine, il rischio è che il messaggio si svuoti e si trasformi in autocelebrazione.

Nessuno mette in dubbio la buona fede. Nessuno vuole negare il coraggio di affrontare un viaggio simile. Ma senza un sacrificio economico reale, senza una quota di responsabilità che tocchi anche il portafoglio, tutto rischia di sembrare solo un’operazione di marketing politico.


Conclusione: la solidarietà con ricevuta

In tempi in cui ogni gesto viene misurato, verificato, messo in discussione, forse la politica dovrebbe imparare dal cittadino comune: la solidarietà ha bisogno di concretezza. Ha bisogno di essere accompagnata da una ricevuta, da un sacrificio verificabile, da un impegno che non si esaurisce in un servizio televisivo.

Ben vengano i viaggi simbolici, ben venga la voglia di rompere l’assedio mediatico, ben venga la denuncia coraggiosa. Ma sarebbe giusto, almeno una volta, vedere anche un po’ di solidarietà con il portafoglio aperto.

Perché le parole, le bandiere e le foto sono leggere. Le onde no. E ancora meno lo sono le macerie sotto cui vivono i palestinesi di Gaza.

Il mare lo affrontano loro, è vero. Ma il conto, ancora una volta, resta sempre a riva.

Il Sognatore Lento