
Il 1973 si apre con una nuova avventura al “Le Turbillon“
A metà gennaio, come previsto, Matteo lasciò la sala del Savoy per iniziare a lavorare nella discoteca dell’albergo, il Le Turbillon. Fu una separazione silenziosa da Antonio, che rimase in sala, ma senza allontanarsi del tutto: entrambi facevano ancora parte dello stesso grande ingranaggio del Savoy, seppure in reparti diversi.
Il suo primo giorno — anzi, la sua prima sera — rimase impresso nella memoria. Entrava alle otto, la discoteca apriva alle nove e mezza. Indossava pantaloni neri e una giacca coreana: quella era la nuova divisa. E, tanto per cominciare, si ritrovò ancora una volta a lavare bicchieri. Sembrava un destino che lo accompagnava ovunque.
Il barman, Jürgen, era un uomo tipicamente tedesco: biondo, robusto, con modi che a prima vista incutevano soggezione. Ma bastarono poche parole per scoprire una persona cordiale, professionale e pronta a insegnare. Da lui Matteo imparò davvero molto: non soltanto la tecnica della preparazione dei drink, ma soprattutto l’arte di accogliere e conversare con la clientela.
Le prime serate passarono tra lavaggi e sistemazioni, ma pian piano Matteo cominciò a cimentarsi con la preparazione di drink semplici. Più avanti, sotto lo sguardo attento di Jürgen, si avvicinò anche ai cocktail classici, entrando sempre più dentro il ritmo del banco bar.
Il Le Turbillon attirava una clientela giovane, raramente oltre i quarant’anni. La serata iniziava come in un disco bar, con musica soft e atmosfera rilassata, poi dalle undici in avanti la sala si trasformava: la musica aumentava di volume e la pista si riempiva di coppie e gruppi pronti a ballare fino a notte fonda. La chiusura non aveva un orario preciso: dipendeva dall’affluenza, e spesso si prolungava fino alle prime luci del mattino.
Un osservatore attento non tardò a notare l’impegno del ragazzo. Il vice direttore dell’hotel, un olandese che frequentava abitualmente la discoteca, osservò più volte Matteo al lavoro e rimase colpito dalla sua precisione e dalla serietà con cui affrontava ogni compito. Fu così che decise di aumentargli lo stipendio: una notizia che per Matteo fu come musica per le orecchie.
Le mance, poi, erano buone e costanti: un aiuto concreto che si sommava al salario e al contributo scolastico che l’hotel gli riconosceva. Così Matteo riusciva anche a mandare ogni mese una parte dei suoi guadagni alla famiglia in Abruzzo, nonostante scrivesse a casa non troppo spesso.
La nuova organizzazione gli permetteva di frequentare la scuola di lingue sia al mattino, dalle 10 alle 12, sia al pomeriggio, dalle 15:30 alle 17:30. La mattina rimaneva il momento migliore per concentrarsi: fresco di sonno e con la mente libera, riusciva a fissare regole e vocaboli. Il pomeriggio, invece, era meno produttivo, perché in classe c’era anche Josephine. Dopo le lezioni, i due si fermavano quasi sempre per un caffè vicino alla scuola, chiacchierando prima di salutarsi. Matteo tornava a casa per mangiare qualcosa in fretta e poi correva al Le Turbillon.
E il sonno? Quello diventò un lusso relativo. Dormiva dalle cinque, o anche dalle sei del mattino, fino alle nove. A volte meno, ma non ne risentiva: il ritmo intenso sembrava dargli energia.
Il lunedì la discoteca era chiusa, e Matteo approfittava della giornata per passare tempo con Josephine, nelle ore libere che lei aveva, o con Maria e Sofia, che lo trattavano con affetto sincero.
Una sera, Josephine gli fece una sorpresa: arrivò in discoteca accompagnata dai genitori dei bambini di cui si occupava. Per Matteo fu una gioia inattesa. Jürgen si soffermò a lungo a parlare con il padre, e da quella sera, ogni tanto, lui e la moglie tornarono all’inizio delle serate.
Matteo e Josephine si trovavano sempre meglio insieme: più il tempo passava, più cresceva l’intesa. Con lei si sentiva bene, e questo gli dava forza in mezzo alla fatica delle lunghe notti e delle giornate dense di impegni.
Il 1973 era appena cominciato, e già si stava rivelando un anno di lavoro duro, ma anche di scoperte, emozioni e legami che avrebbero lasciato un segno profondo.