Il Vate e la sua terra – Là dove nasce il vento e la parola

Premessa: (il patto col lettore – cos’è questo libro)

C’è un Abruzzo che non si dimentica mai: quello dei venti che profumano di sale e di montagna, dei borghi silenziosi dove ogni sasso custodisce una storia.
È in questa terra, tra fiume e mare, che nacque nel 1863 Gabriele D’Annunzio — poeta, soldato, amante, provocatore — uno dei personaggi più discussi e affascinanti della nostra storia.

Ma prima del “vate”, prima del mito, prima del teatro della vita, c’era un ragazzo di provincia con gli occhi pieni di luce.
Un ragazzo che ascoltava il mare e sentiva che in quel suono c’era già la sua voce.

Questa serie, Il Vate e la sua terra, non è una biografia accademica, ma un racconto romanzato e umano.
Un viaggio nella vita di D’Annunzio come se fosse un romanzo: dalle prime luci di Pescara fino al Vittoriale, passando per l’amore, la guerra e il sogno di Fiume.

Ogni capitolo esplora un frammento della sua esistenza — tra genio e follia, gloria e solitudine — con lo sguardo rivolto sempre all’Abruzzo, la sua radice più vera.Ogni capitolo esplora un frammento della sua esistenza — tra genio e follia, gloria e solitudine — con lo sguardo rivolto sempre all’Abruzzo, la sua radice più vera..

Prefazione

(perché raccontarlo così)

La vita di Gabriele D’Annunzio è quella di un uomo che ha vissuto mille vite in una sola.
Poeta, scrittore, drammaturgo, ma anche soldato, amante, uomo di guerra e simbolo di un’idea di grandezza che ha attraversato un’epoca.

Tuttavia, al di là dei titoli e dei ruoli, la sua essenza più profonda resta legata all’Abruzzo, la terra che lo ha formato prima ancora che lo celebrasse.
Un paesaggio aspro e luminoso, che ha alimentato la sua fame di parole, di bellezza e di orizzonte.

Questo racconto nasce dal desiderio di restituire quel legame originario.
Non un D’Annunzio giudicato, ma attraversato.
Non una figura politica, ma un uomo cresciuto in un luogo che gli ha insegnato a guardare lontano.

Tra mare e montagne, tra silenzi e vento, prende forma il giovane Gabriele: colui che sognò grandezza prima ancora di conoscerne il prezzo.
E forse è proprio lì, in quella terra iniziale, che va cercata la chiave di tutto ciò che sarebbe diventato.

Prologo – Il ragazzo di Pescara

L’infanzia del Vate tra fiume, mare e sogni di luce

La Pescara in cui nacque Gabriele D’Annunzio, l’11 marzo 1863, non era la città moderna che conosciamo oggi.
Non c’erano i viali larghi né i palazzi alti affacciati sull’Adriatico.
Era un borgo di pescatori e contadini, steso tra il fiume e il mare, con strade polverose, case basse, orti odorosi di basilico e cipolla, e il vento che portava sale sulle facciate.

L’Adriatico non era soltanto panorama: era voce, odore, destino.
Ogni bambino cresceva ascoltando le reti tirate a riva, i remi che fendevano l’acqua, i racconti dei marinai che parlavano di porti lontani come se fossero fiabe.

In quel piccolo mondo, tra risa e voci di mercato, nacque Gabriele Rapagnetta, che presto sarebbe diventato D’Annunzio.
La madre, Luisa De Benedictis, era donna di religione e silenzi: il suo affetto si esprimeva in gesti semplici, carezze veloci, il profumo di pane caldo.
Il padre, Francesco Paolo Rapagnetta, era uomo irruento e intraprendente, con ambizioni da piccolo notabile. Avrebbe poi assunto il cognome “D’Annunzio” da uno zio sacerdote: suonava più nobile, più adatto a un figlio destinato a salire i gradini della società.

Il piccolo Gabriele crebbe così, tra la severità dolce della madre e la vanità del padre.
Da lei assorbì la sensibilità, da lui il desiderio di primeggiare, di non essere mai uno tra tanti.

Non era come gli altri bambini che correvano scalzi sulla sabbia.
Guardava il mare e lo immaginava già come un orizzonte simbolico, un palcoscenico per le sue fantasie.
A volte restava ore in silenzio, fissando le onde, finché qualcuno non lo scuoteva:
«A che pensi, Gabriellino?»
«A nulla… al tutto.»

Amava le storie dei pescatori, ma non si accontentava di ascoltarle.
Voleva trasformarle.
Ogni racconto diventava mito, ogni nome un eroe.
Era già poeta, senza saperlo.

A scuola si fece notare subito, non per disciplina, ma per l’uso sorprendente delle parole.
La lingua, per lui, era un gioco e un’arma.
Scriveva versi con un’innocenza che non era innocenza: già conteneva il

bisogno di stupire, di sedurre, di lasciare traccia.

Il borgo di Pescara era povero ma vivace.
Ogni festa diventava rito, ogni rito spettacolo.
Gabriele osservava tutto con occhi avidi, trasformando ogni scena in visione.

L’Abruzzo, con i monti alle spalle e il mare davanti, divenne il suo paesaggio interiore.
Non lo avrebbe mai dimenticato, neppure nei palazzi romani o a Parigi.
Sotto ogni parola, restava quella luce dura e generosa.

Il borgo cominciava a stargli stretto.
Ogni nave che salpava dal porto era una promessa.
«Il mare non finisce dove lo vediamo», diceva. «Io ci salirò sopra.»

Eppure, in quel bambino che sognava grandezze, c’era già la nostalgia anticipata.
Sapeva che quella terra gli sarebbe mancata sempre, come una ferita e come una radice.

Così nacque e crebbe Gabriele, figlio di una Pescara semplice e aspra.
Da quel borgo sul mare portò via una fame di vita che

non lo avrebbe mai abbandonato.
E mentre i giorni scorrevano tra reti di pescatori e campane di chiesa, si preparava, senza saperlo, a

diventare il Vate d’Italia.

👉 Segue: 1 EpisodioLink