
Un nuovo secolo, un vecchio sogno
All’inizio del Novecento, Gabriele D’Annunzio è all’apice della fama.
Roma e Firenze lo acclamano come il “Vate”, Parigi lo corteggia, e l’Italia intera lo riconosce come simbolo di eleganza e modernità.
Ma dietro la gloria si nasconde un’ombra lunga: la fine del suo amore con Eleonora Duse, la donna che più di tutte aveva ispirato la sua arte e la sua vita.

Lui, il poeta della parola assoluta; lei, la sacerdotessa del gesto e del silenzio.
Insieme avevano vissuto la fusione perfetta tra amore e arte, ma la stessa fiamma che li unì ora bruciava troppo forte.
Il sogno stava per spegnersi, e con esso un’intera stagione della vita di D’Annunzio.
Il teatro come confessione
Tra il 1900 e il 1904, il teatro diventa il palcoscenico del loro destino.
D’Annunzio scrive per lei, la Duse recita per lui.
Ogni opera è un frammento del loro amore, ogni parola una ferita.
Nel 1901, va in scena Francesca da Rimini, tragedia in versi che unisce eros e peccato, purezza e condanna.
Francesca, la donna che ama oltre il perdono, è il riflesso vivente di Eleonora.
Quando lei pronuncia:
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona…”
il pubblico applaude, ma il dolore è vero.
Nel 1903, D’Annunzio scrive La Figlia di Iorio, la sua opera più intensa e terrena.
Ambientata in Abruzzo, è un ritorno alle radici, ai paesaggi dell’infanzia, alle voci del popolo e alle antiche superstizioni.
Mila di Codra, la protagonista, è una donna pura e indomita, perseguitata dall’ignoranza e dalla violenza.
Dietro di lei, ancora una volta, c’è la Duse: fragile, orgogliosa, vittima e musa insieme.
Il debutto del 1904 è un trionfo.
Il pubblico è rapito, la critica unanime: il Vate ha dato al teatro italiano una lingua nuova, sacra e popolare insieme.
Ma dietro il successo, l’amore si consuma.
La Capponcina: il rifugio e la distanza
D’Annunzio vive ormai nella villa La Capponcina, sulle colline di Settignano.
È un regno fatto di velluti, specchi, incensi, animali imbalsamati e libri rilegati in cuoio.
Un luogo che sembra sospeso tra sogno e finzione, tra arte e follia.
Eleonora lo raggiunge spesso, ma non riesce più a restarvi a lungo.
La distanza tra loro non è solo fisica, è spirituale.
Lei cerca la verità, lui la rappresentazione.
Lei desidera silenzio, lui vive di eco.
Scriverà anni dopo:
“Vivevo di lei come del respiro.
Ma ogni respiro era una ferita.”
Settembre – Il ritorno all’anima
Dopo la fine della storia con Eleonora, D’Annunzio trovò rifugio nella poesia e nella natura.
Alla Capponcina, tra il profumo dei tigli e il fruscio delle colline toscane, riscoprì la sua voce più pura.
Così nacque Alcyone (1903), la raccolta che segna la rinascita interiore del poeta.
Tra le sue liriche più celebri, “Settembre” diventa simbolo di una malinconia dolce e necessaria — quella del ritorno alla terra, alla memoria, alla verità.
Settembre
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua e di vento
hanno nel cuore; lasciano le fonti
e i boschi e i prati e i pascoli, dicendo
addio alle fonti e ai pascoli natìi.
Scendono giù, lungo le vie del piano,
tra il vestito di nebbia degli autunni,
per dove va il fraterno Adriatico
che accoglie tutti i fiumi del paese.
Portano seco le agnelle, belando,
e hanno negli occhi il mite colore
dei cieli d’Abruzzo e nelle mani il tono
dei vecchi campanacci inargentati.

L’Abruzzo interiore
In questi versi, il poeta non parla solo dei suoi pastori.
Parla di sé stesso.
È lui che lascia un mondo per cercarne un altro, che abbandona l’amore e il clamore per tornare alla voce silenziosa della terra.
L’Abruzzo diventa il suo rifugio simbolico, la sua madre spirituale.
“Settembre” è la poesia della partenza e del ritorno, del dolore che si fa canto.
È il D’Annunzio che, spogliato di tutto, ritrova la verità dell’origine:
la natura come destino, la memoria come patria, il silenzio come rinascita.
L’addio
Nel 1904, dopo il trionfo de La Figlia di Iorio, la storia con la Duse finisce definitivamente.
Lei si ritira, devastata ma fiera.
Lui resta solo, circondato dal lusso e dal vuoto.
Da quel dolore nasceranno nuove parole, ma nessun amore riuscirà più a colmare quell’assenza.
“È morta la mia voce più bella,”
dirà anni dopo, quando la Duse morirà lontano da lui.
Chiusura
Gli anni tra il 1900 e il 1904 segnarono la fine della giovinezza e la rinascita spirituale di D’Annunzio.
Dall’amore nacque la ferita, dalla ferita la poesia, dalla poesia il mito.
Con Alcyone e con “Settembre”, il poeta tornò alla sua terra, e in essa trovò l’unica eternità possibile: quella delle radici e del silenzio.
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