Introduzione

Se Juvanum è il volto antico e romano di Montenerodomo, il Medioevo segna la nascita del borgo come lo conosciamo oggi. Con la caduta dell’Impero e le invasioni barbariche, la popolazione si spostò in altura per difendersi. Nacque così un paese fortificato, piccolo ma strategico, che dominava la valle del Sangro e controllava i tratturi: quelle vie erbose che per secoli hanno visto passare greggi, pastori e mercanti.
Montenerodomo medievale non era un centro ricco, ma una comunità resiliente, che imparò a vivere in equilibrio con la natura e con i suoi pericoli. I secoli che seguirono furono un intreccio di resistenza, fede e lavoro duro.
Borghi fortificati

Nel Medioevo i borghi non erano pensati per il turismo, ma per la sopravvivenza. Montenerodomo, come altri paesi abruzzesi, si raccolse attorno a un nucleo centrale con case in pietra addossate, vicoli stretti e porte d’accesso. Le mura non erano tanto monumentali quanto funzionali: bastava rendere difficile l’ingresso agli invasori.
Il borgo era piccolo, ma collegato a una rete di castelli e villaggi che presidiavano l’area del Medio Sangro. Non era raro che la popolazione, in caso di pericolo, si rifugiasse in chiese fortificate o nei boschi della Maiella, che offrivano protezione naturale.
La vita dei pastori

Il vero cuore dell’economia medievale era la pastorizia. La transumanza – la migrazione stagionale dei greggi – faceva di Montenerodomo un punto di passaggio e di sosta lungo il grande Tratturo Magno,

che collegava L’Aquila a Foggia.
Ogni anno, con l’arrivo dell’autunno, le greggi partivano verso la Puglia; in primavera risalivano. Era un rito collettivo, che coinvolgeva intere famiglie, e che scandiva i ritmi della vita.
La lana era ricchezza, il formaggio sostentamento, le pelli merce di scambio. Attorno a questi prodotti si costruivano rapporti commerciali e alleanze tra comunità. I tratturi erano strade di erba e polvere, ma anche di storie e incontri.
Fede e identità

Accanto alla vita materiale c’era la dimensione religiosa. Le piccole chiese di San Martino e San Vito, che ancora oggi caratterizzano Montenerodomo, affondano le radici in quell’epoca.
La fede era rifugio e guida: le processioni, le feste patronali, i riti contadini legati ai cicli della natura nascevano allora. E, in qualche modo, non si sono mai spenti.
Relazioni e feudi

Il Medioevo fu anche tempo di dominazioni. Montenerodomo passò sotto diversi signori feudali, tra cui i d’Aquino e i Di Capua. La popolazione viveva di pastorizia e agricoltura, ma era soggetta a tasse, gabelle e obblighi verso i padroni.
Nonostante le difficoltà, il borgo riuscì a mantenere una propria identità, fatta di solidarietà e comunità. Le relazioni tra famiglie, le usanze condivise, il senso di appartenenza al paese furono la vera forza che permise di resistere.
Un’eredità che sopravvive
Oggi, passeggiando per Montenerodomo, si ritrovano tracce di quell’epoca: vicoli stretti, case in pietra, la memoria dei tratturi che ancora tagliano i campi. Non sono resti monumentali, ma segni vivi di una storia quotidiana.
Il Medioevo ha lasciato in eredità al borgo il senso della resilienza: saper vivere in equilibrio tra durezza e solidarietà, tra isolamento e apertura.
Conclusione
Il Medioevo di Montenerodomo non fu fatto di cavalieri e castelli imponenti, ma di pastori, famiglie, piccoli feudi e tratturi che univano Abruzzo e Puglia.
Fu un’epoca di fatiche e privazioni, ma anche di costruzione identitaria.
Se Juvanum rappresenta la grande storia scritta nelle pietre, il Medioevo rappresenta la storia silenziosa, fatta di vite umili e comunità resistenti.
Una storia che ancora oggi scorre nei vicoli del borgo e nelle feste che richiamano la transumanza.